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Solidità della Dottrina e della Tradizione

I testimoni delle origini

 

 

 

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Commento al Vangelo delle Feste

 

INTRODUZIONE GENERALE

 

indice delle feste

 

1) INTRODUZIONE GENERALE

 

Questioni di date

 

In questi commenti ai brani evangelici delle feste si incontreranno delle date diverse dal solito.

Non si tratta di sviste o di leggerezze storiche, soltanto si è cambiato il punto di riferimento.

Si è partiti dalle notizie storiche contenute in Storia Romana di Velleio Patercolo, quasi unico testimone diretto, tra gli storici romani, degli anni in cui Gesù Cristo visse sulla Terra.

Ricordando che gli scrittori storici romani si riferivano principalmente ai consoli, nominati ogni anno, ecco che cosa è emerso:

  • la vita dell’imperatore Cesare Ottaviano Augusto è stata allungata di 1 anno; è vissuto 74 anni, 10 mesi e 25 giorni, ma gli è stato aggiunto un anno in più ed è stato inserito, nell’1 a.C., un anno consolare inesistente; si tratta di 1 anno inesistente aggiunto alla storia;
  • l’imperatore Tiberio, che ha regnato per 25 anni, 6 mesi e 28 giorni, ha nominato soltanto 22 coppie di consoli; in tal modo negli annali di Roma risultano soltanto 22 anni di storia durante il suo impero; 3 anni sono “persi”;
  • di conseguenza tutti gli avvenimenti precedenti l’1 a.C. devono essere spostati avanti di un anno, mente quelli successivi all’impero di Tiberio devono essere spostati avanti di 3 anni; così, dal nostro punto di vista, gli avvenimenti avanti Cristo risulterebbero spostati avanti di 2 anni;
  • il monaco Dionigi il Piccolo si trovava inserito in questo punto di vista; nel 525 d.C., volendo contare gli anni dalla nascita di Gesù, fissò l’anno 532 d.C. nel 248° anno di Diocleziano; aveva contato i consoli e gli anni degli imperatori di Roma tornando indietro fino all’anno 41° di Augusto, 28° dalla morte di Cleopatra; in questo anno Tertulliano poneva la nascita di Gesù, avendo consultato gli annali di Roma;
  • in realtà, dunque, Gesù è nato due anni prima di quanto ha calcolato Dionigi, ma il suo errore è totalmente logico: deriva dalla differenza tra i 3 anni in meno durante l’impero di Tiberio e l’anno aggiunto alla vita di Augusto;
  • in seguito, nel Medioevo o nel Rinascimento, si notò che tra le datazioni testimoniate da Velleio e il regno di Diocleziano mancavano quei 3 anni consolari, cosicché furono aggiunti nel periodo 241-284 d.C., allungando probabilmente di 1 anno la vita dell’imperatore Claudio il Gotico e di 2 anni quella dell’imperatore Publio Licinio Valeriano;
  • l’anno di nascita di Gesù corrisponde, dunque, al 748 (25 dicembre) dalla fondazione di Roma; l’1 a.C. fissato da Dionigi corrisponde al 750, l’1 d.C. corrisponde al 751; però gli storici romani successivi a Tiberio avrebbero fatto coincidere l’1 d.C. con il 754  dalla fondazione di Roma; dopo Dionigi invece, Beda il Venerabile e altri autori notarono l’errore di soli 2 anni nelle date a.C. e fecero coincidere l’1 d.C. con il 753 di Roma; ecco perché oggi esiste l’incertezza tra il 753 e il 754, anche se parrebbe assai più logico il 751.

Traduzioni

 

Innanzitutto occorre una precisazione riguardo alla nuova traduzione della Bibbia, in particolare dei Vangeli, dell’Apocalisse e dell’intero Nuovo Testamento.

Nella traduzione della Bibbia è assai importante che la Chiesa raccolga tutta la ricchezza della Tradizione.

Ma qui ci limiteremo a evidenziare gli aspetti storici concreti, che ritengo non si debbano disprezzare, che anzi costituiscano la base “laica”, voluta da Gesù stesso e dagli Evangelisti, per ogni dialogo con il mondo.

Poiché il susseguirsi di “nuove traduzioni” della Bibbia fa pensare a molti, spesso furbi, che la Bibbia sia sempre meno sicura, non mi pare inutile riscoprire legami storici tra i Vangeli e dei Vangeli con altri libri del Nuovo Testamento.

Se questi legami sono finiti nell’oblio o non sono nemmeno stati presi in considerazione, è particolarmente rilevante che sia possibile scoprirli oggi, nei testi, così come ci sono giunti in greco. Ricordiamo che lo studio critico ci ha restituito i Vangeli e gli altri libri del Nuovo Testamento come erano all’origine, con pochissime incertezze. Ciò non è possibile invece per l’Antico Testamento.

Dunque abbiamo tutto quello che occorre dei testi originali, per conoscere Gesù storico concreto, le parole e azioni storiche del Figlio di Dio, perfino le parole precise da lui dettate in greco.

Su questa base, e sulle certificazioni che i testi contengono, sono state e sono possibili tutte le elaborazioni e traduzioni diverse, per meglio comprendere e vivere.

 

Antico Testamento

 

«La salvezza viene dai Giudei», perché Gesù, discendente di Davide, assume l’AT e lo conferma, ma in realtà la salvezza viene da Gesù.

Non è proprio necessario che l’AT sia testimoniato e certificato.

Era invece necessario che l’opera del Salvatore fosse certificata e a ciò iniziò a provvedere lui stesso.

 

Nuovo Testamento

 

Per mettere in luce il valore della testimonianza del NT, ripercorriamo gli avvenimenti.

Gesù Cristo, nato nella semplicità a Betlemme, venne presto cercato dai Magi come «il re dei Giudei che è nato». La madre, Maria, poteva testimoniare che era figlio suo e Figlio di Dio.

Cresciuto, non in comunità religiose particolari ma lavorando con Giuseppe a Nazareth, cominciò il suo ministero messianico e regale con la presentazione al popolo da parte di Giovanni Battista.

Già dopo due mesi circa, gli evangelisti Giovanni e Matteo iniziarono a scrivere, con incarico ufficiale, ciò che vedevano e udivano dal Maestro.

Questi venne presto riconosciuto come Cristo-Messia e come Re nel nome di Dio.

Per quattro anni continuò senza che alcuno lo potesse impedire, fino a essere proclamato Re dal popolo, con un ingresso trionfale a Gerusalemme. L’imperatore di Roma ne era al corrente e il governatore di Palestina, Ponzio Pilato era d’accordo.

Ma quando venne l’ora, decisa dal Padre e accettata da Gesù, egli venne arrestato, condannato a morte e crocifisso. Era  3 aprile dell’anno 33 d.C.

Il terzo giorno dopo la morte i suoi amici l’hanno visto risorto, «in molte circostanze probanti» (At 1,3).

I discepoli di Gesù, alla Pentecoste ebraica di quell’anno, ricevettero forza dallo Spirito Santo e, secondo il comando del loro Maestro e Signore (Re), si dedicarono a predicare e a battezzare in tutto il mondo allora raggiungibile.

Intanto le testimonianze scritte da Giovanni e Matteo vennero trascritte nei quattro Vangeli, entro l’anno 46. Gli Evangelisti erano tutti vicini, nella città di Gerusalemme, ed ebbero modo di confrontarsi continuamente.

Intorno all’anno 35, Saulo di Tarso, persecutore dei cristiani ma convertito da Gesù stesso in un’apparizione, divenne l’Apostolo dei Gentili. Scrisse numerose lettere alle comunità da lui fondate, attingendo la sua dottrina da alcuni discepoli di Gesù, dagli Apostoli, e dai Vangeli già scritti. In particolare lo seguì assiduamente Luca.

Per suggerimento di questo evangelista, intorno all’anno 55 l’evangelista Giovanni chiese a uno scriba di sua conoscenza di redigere l’Apocalisse.

Venne l’anno 67, decimo anniversario dell’impero di Nerone, e l’imperatore, preso da mania poetica, volle riprodurre a Roma l’incendio di Troia. Resosi conto si aver commesso un orrendo delitto, riversò la colpa sui Cristiani e iniziò in tal modo la persecuzione, che durò per duecentocinquant’anni.

Durante le persecuzioni la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, conquistò l’Impero Romano e rimaneva fedele al Cristo Re anche se possedeva, di lui e dei suoi discepoli immediati, notizie storiche piuttosto confuse.

Sembra incredibile, ma oggi è possibile, molto più di allora, riunire notizie precise e concrete su Gesù Cristo e sugli inizi della Chiesa.

Possiamo dunque conoscere in modo rinnovato, più concreto e completo, il dono di Gesù.

 

Nuova civiltà da duemila anni

 

La Chiesa rinnova il mondo se, come ha fatto nei primi tempi, offre vita concreta e reale, che il mondo non ha, né potrà mai avere da solo, se ripresenta Gesù storico, reale, Colui che dà la vita in abbondanza.

Perché proprio Lui deve darci la vita? Non viviamo già in abbondanza, di giorno e di notte?

Il fatto è che la Sua è la vita che va bene per noi, che possiamo vivere dove ci troviamo, nella situazione in cui siamo, di giorno e di notte.

Ma senza faticare di più,trasformando e costruendo dal di dentro, nel cuore e nelle situazioni, in modo quasi irreversibile, in quanto nulla può separarci da Gesù Cristo.

Mi pare che concetti del genere fossero presenti nei primi tempi della Chiesa e che abbaino costruito la civiltà di cui possiamo godere nonostante tutto.

 

Liturgia

 

La liturgia celebra fatti storici, che sono misteri perché incarnano realtà soprannaturali.

Il canto Grandi cose ha fatto ricorda i prodigi compiuti da Dio nell’Antico Testamento.

I testi dell’AT sono affascinanti perché rappresentano un mirabile sforzo di tutte le capacità umane di elevarsi a Dio, ma anche perché permettono di dare più concretezza ai Vangeli, in mancanza di un loro riconoscimento come testimonianze storiche.

In effetti però i Cristiani hanno molto di più dell’AT. Dio “ha fatto grandi cose” soprattutto in Gesù.

Chi ormai è abituato a sentir parlare di Gesù Cristo può avere l’idea che Dio abbia abbandonato il suo posto, per invadere la vita privata degli uomini e annullare la loro libertà. Sembra che, avendo materializzato la sua presenza, autorizzando anche le immagini e le statue, abbia reso i cristiani superstiziosi, idolatri, così che i più intelligenti ridono della pietà cristiana.

Questo avviene perché Gesù Cristo ci è lontano, viene considerato come un ideale, come un maestro morale, non è per noi Colui che, con rude concretezza, salva la realtà.

Il Vangelo dice che Gesù Cristo cerca ciò che è perduto, per salvare ogni cosa (Lc 19,10). Se lo vogliamo.

L’Antico Testamento è ispirato da Dio, ma attraverso la vita degli uomini peccatori. È “Libro”, studio, riflessione, intelligenza e prudenza, astuzia addirittura.

Oggi c’è molta scuola, un po’ di filosofia, ci sono molti libri.

Se anche i Vangeli si riducono a “parola”, il Gesù che ci fanno conoscere è già tutto compreso nell’AT.

È ancora l’Altissimo infinitamente superiore a noi, in più venuto a “metterci in crisi”, a farci tribolare inutilmente.

A meno che non prendiamo passione alle sue parole e opere precise, nelle situazioni storiche precise.

Parlare di Cristo nella sua umile realtà storica: questo è sempre nuovo, nuovo per ogni nostra situazione, mai visto e vicino per noi.

La liturgia è l’occasione per inviare i giovani sicuri nel mondo, se nelle celebrazioni possono cogliere le basi concrete della fede che celebrano, riscoprendo la storicità dei fatti che l’hanno generata.

Così, per i giovani, Gesù Cristo è lo stimolo e la compagnia per la settimana.

 

Vangeli storici

 

La Chiesa ha sempre affermato che i Vangeli sono racconti storici. Ma come darle ragione se tutto viene messo in dubbio?

Il modo in cui furono scritti i Vangeli sembra difficilissimo da ricostruire; non si trova mai la soluzione accettabile.

Non sarà forse perché si insiste su una via senza sbocco?

I Vangeli non sono dunque stati scritti in luoghi reali e in momenti storici?

Ragioniamo sui Vangeli stessi.

Se Matteo ha riunito in cinque discorsi gli insegnamenti di Gesù, è chiaro che egli non ha raccontato in ordine cronologico.

Se invece Luca dice di aver indagato con diligenza ogni cosa e di aver scritto ordinatamente, è altrettanto evidente che egli, almeno per quanto ha potuto, ha scritto seguendo la successione precisa dei fatti e riferendo le parole più precise di Gesù.

Se, dunque, Matteo e Luca offrono un racconto molto diverso l’uno dall’altro, è stato Matteo a cambiare le cose.

Ciò che rassicura, nel confronto tra i Vangeli sinottici, è che Matteo ha cambiato moltissimi particolari a ragion veduta, ma ha fatto in modo che ogni deformazione fosse ben riconoscibile. Il motivo plausibile è che abbia dovuto cambiare tutto ciò che era possibile, perché ha pubblicato per la seconda volta lo stesso racconto.

Matteo va letto a stretto confronto con Luca, Marco e Giovanni. Quando scrive cose che non ci sono raccontate negli altri Vangeli, si presume che sia più fedele ai fatti, perché non c’era bisogno di cambiare.

Giovanni, da parte sua, presenta diverse certificazioni dei fatti che racconta.

Provando allora a combinare insieme il Vangelo di Luca e quello di Giovanni, otteniamo un resoconto molto più completo della somma di ciò che dicono i due testi separati. Anzi, partendo dal terzo e quarto Vangelo, ci accorgiamo che tutti gli Evangelisti hanno scritto testimonianze di un valore inestimabile, un tesoro storico, giuridico, realistico, a cui ci possiamo riferire in ogni nostra situazione.

In definitiva tutti e quattro gli Evangelisti raccontano soltanto fatti storici e circostanziati.

Non dobbiamo perciò farci bloccare dalle differenze tra Luca e Matteo, ma coglierne il significato, grandioso. Matteo parte da basi storiche, che erano sue e ritroviamo in Luca, e che sono di Giovanni e anche di Marco.

Matteo e i suoi scribi hanno tratto dal loro tesoro, che troviamo quasi interamente in Luca, cose nuove e cose antiche (Mt 13,51-52). Inoltre comprendiamo molto meglio questo Vangelo se lo intendiamo come la nuova Legge, enunciata dal Cristo Re e indirizzata ai capi ebrei, in favore di tutto il popolo.

Per quanto riguarda i fatti della Natività e dell’infanzia di Cesù, consideriamo che Luca dice letteralmente: «Maria conservava tutte queste parole(nel senso proprio di vocaboli e frasi) raccolte nel suo cuore (o anche “mente”, “memoria”)», perciò si tratta di un racconto ufficiale, verificato dai sacerdoti che lo prepararono e dalla gente che conosceva gli avvenimenti. Infatti, se Elisabetta, parente di Maria, era della stirpe sacerdotale di Aronne, è molto probabile che anche Maria appartenesse a quella stirpe e che suoi parenti sacerdoti abbiano composto quel racconto da mandare a memoria.

Consideriamo anche il passo di Matteo: «(Giuseppe) non la conosceva, finché partorì un figlio…» (Mt 1,25). La traduzione del passo è proprio così. I protestanti vi trovano il motivo per affermare che Maria non visse poi nella verginità. Ma la spiegazione sta nel fatto che Matteo pubblicò il Vangelo nell’anno 43 circa, quando Maria era ancora viva e non si pensava a venerare la sua verginità, ma suo Figlio. L’importante era precisare che Giuseppe non era padre di Gesù.

Per questo i racconti evangelici sono testimonianza storica, valida proprio per chi non crede, per chi nella propria giovinezza non trova il riferimento che brama.

La Chiesa ha prevenuto, guidato i tempi, quando i credenti erano convinti che i Vangeli fossero racconti storici, anche se non matematicamente, tuttavia in modo sufficiente per la ragione; quando i Vangeli non erano considerati “parola”, ma parole e azioni vive e concrete del Salvatore.

Se vengono ridotti a “parola”, simbolismo e filosofia, sono difficilissimi da applicare alle nostre situazioni di oggi.

Se non rimandassero a fatti e a parole precise, vivi, possibili da ripresentare al confronto con le situazioni, che cosa potremmo imitare? I libri?

Presentiamo dunque i Vangeli dal punto di vista storico, che non è da disprezzare.

Qui sta la possibilità di ripresentare la situazione storica, in cui viveva la Chiesa all’inizio e in cui essa ha diffuso rapidamente la salvezza di Gesù.

 

Vita giovane

 

Si è giovani con la verità vissuta da bambini. Da giovani la si riprende, inconsciamente o criticamente, secondo il valore vitale che essa ha.

Anzi, le apparizioni mariane mi hanno fatto capire che si cresce con un segreto nel cuore, si cresce bene se il segreto è buono, viene dal Cielo. Ma il Segreto che viene dal Cielo è Gesù, da far conoscere profondamente ai bambini.

Così la conoscenza storica, e non solo psicologica, di Gesù Cristo fin da bambini, viene ripresa in modo pratico da giovani.

È un meccanismo normale: “mio padre, in quell’occasione, si è comportato così…”; “mia madre dice sempre questo…”; “una persona che ammiro, in momenti difficili sa…”.

Io, poi, divenuto maggiorenne, provo anche a fare il contrario, a oppormi a quegli esempi con idee, azioni e sentimenti miei.

Anche le parole e opere di Gesù sopportano questo “trattamento”, solo perché, dalla combinazione dei Vangeli di Luca e Giovanni, risultano le testimonianze storiche di parole e azioni precise di Gesù, imitabili come quelle delle persone che ci sono accanto.

Per chi è già cresciuto, giovane o adulto, può rappresentare una novità nella vita avventurarsi alla conoscenza di Gesù concreto e celebrarne i misteri.

Oggi si è costretti a rivedere tutte le tradizioni del popolo cristiano (non la Tradizione).

I reali fatti e parole della vita di Cristo, le reali situazioni storiche e geografiche di allora hanno il potere di essere attualizzati oggi, soprattutto nella liturgia, per precedere e guidare le situazioni quotidiane e quelle straordinarie. I giovani hanno davanti esempi, idee, suggerimenti di libertà, sicurezza…

Si può vivere e fare liturgia da giovani, perché abbiamo come base la realtà storica di Gesù Cristo.

Liturgia in senso compiuto, fondata sui semplici fatti raccontati, ma per questo anche liturgia giovane, non fondata su particolari atmosfere, su riflessioni esperte, sul raccoglimento e sulla dimenticanza momentanea delle cose del mondo, ma che coinvolge tutta la vita.

Sentirsi chiamati dal Padre alla liturgia, nella situazione quotidiana, buona o cattiva, per ricevere grazie che santificano la situazione stessa.

Gesù si comportava come giovane, avendo discepoli giovani, con una certa distanza dalla famiglia, ma da Figlio di Dio, con gran semplicità era guida anche per le famiglie, per quelle dei suoi discepoli innanzi tutto.

Nascono in noi sentimenti strani; le persone ci appaiono strane nel loro comportamento; la natura non ci obbedisce e ci è ostile ed estranea. Gesù storico, concreto, è lì come verità semplice, come modello, come roccia.

«Perché mi chiamate: “Signore, Signore”, e non fate ciò che dico?

Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che sta costruendo una casa, che ha scavato ed è andato in profondità e ha posto le fondamenta sopra la roccia. Venuta la piena, il fiume irruppe contro quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era stata costruita bene.

Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la rovina di quella casa fu grande».

Lc 6,46-49

 

«Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò.

Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

Mt 11,28-30

 

2) I VANGELI DI MARCO E MATTEO

 

Marco: primo o ultimo?

 

Non mi sento in grado di addentrarmi nelle complicate questioni riguardanti il Vangelo secondo Marco. So che molti sostengono che abbia scritto per primo. Ma so pure che alcuni hanno rilevato caratteristiche tali del Vangelo che fanno ritenere sia stato scritto per ultimo: Griesbach, W. R. Farmer, B. Orchard, D. L. Dungan.

Mi limito dunque a esporre volta per volta ciò che rilevo dai brani letti nelle Messe.

Anticipo soltanto questo, che verrà ripreso nel commento a Mc 1,1-18.

La prima parola del Vangelo di Marco è, in greco, “archè” ed è stata tradotta come «“inizio” del Vangelo di Gesù Cristo…». Non pare che ciò abbia senso, non occorre dire che sta iniziando un libro. Allora ho cercato qualche altro significato e il vocabolario mi ha suggerito “ricapitolazione”. Ciò esprime meglio la forma del secondo Vangelo, ossia la ricapitolazione ordinata di tutto ciò che era già stato scritto negli altri tre Vangeli.

 

Marco, chi era?

 

Sua madre si chiamava Maria – il nome era talmente comune – e possedeva una casa proprio a Gerusalemme (At 12,12).

Si chiamava Giovanni, in ebraico, e Marco, in latino.

In Palestina però si parlavano l’aramaico e il greco. Il latino era la lingua degli atti dei conquistatori, ma era ufficiale il greco.

Marco era presente nel Getsemani, quando Gesù fu arrestato, (Mc 14,51-52) dunque conosceva Gesù ma in quel momento era un ragazzo, che possiamo immaginare di 14 o 15 anni. Poi divenne discepolo di Pietro.

Quando Pietro, nell’anno 44 (Normalmente si ritiene che Pietro si sia recato a Roma per la prima volta nel 41 o nel 42, in realtà occorre posticipare il fatto di 3 anni, perché tanti ne sono andati “persi” durante l’impero di Tiberio, che perciò è terminato nell’anno 40), fu invitato a Roma a parlare di Gesù, anche Marco era con lui e aveva circa 25 anni. Alcuni dei cavalieri romani gli chiesero di scrivere ciò che Pietro raccontava.

 

Marco e Matteo

 

Se confrontiamo il brano di questa liturgia con Mt 24,1-31, possiamo notare, in italiano, la grande somiglianza. Ma se li confrontiamo in greco la somiglianza è particolare. Il linguaggio di Matteo, come ci si aspetterebbe, manifesta la collaborazione di molti scribi, mentre quello di Marco varia di poco rispetto a quello di Matteo, come succede quando una sola persona copia da un’altra fonte, senza dover rispettare i diritti d’autore.

Come spiegare la libertà che Marco si prende?

Dopo avere scoperto che il Vangelo secondo Matteo era già scritto nell’anno 43 e che si stava diffondendo tra le diverse Chiese, mi pare chiaro che Marco non voleva pubblicare il Vangelo immediatamente, ma che il libro doveva rimanere in mano a chi avrebbe fatto conoscere Gesù nell’ambiente romano.

Serviva un libretto leggero, agile, breve. Così Marco fece un riassunto ordinato e lasciò alcune frasi (esempio: Mc 1,13; 9,48-50) come sintesi dei lunghi discorsi che troviamo in Matteo: i Romani non li avrebbero capiti. Se però c’era la possibilità di esporli, Pietro o altri evangelizzatori sapevano a che punto del racconto inserirli.

Marco si riteneva libero di copiare da Matteo, perché era anch’egli, come Luca, tra i «molti» che avevano composto il Vangelo secondo Matteo. (h)

Marco era giovane e non era capace di grandi costruzioni storiche, o semplicemente narrative. Prese quel che c’era e usò molte parti del testo greco di Matteo e di Luca.

Niente impedisce che Marco abbia scritto subito in greco e non in aramaico. Lo stile è quello aramaico, ma vi si trovano vocaboli greci di Luca. Il testimone del suo racconto, Pietro, essendo di Galilea parlava correntemente sia l’aramaico sia il greco, ma non avrebbe saputo scrivere in greco.

Gli studiosi hanno notato che il Vangelo è stato scritto da una persona sola, ma raccoglie ciò che è stato scritto da molti. In realtà possiamo constatare, senza bisogno di ricerche complesse, quali sono le sue fonti: erano gli altri tre Vangeli, la testimonianza di Pietro e quella altri protagonisti che Marco ha potuto conoscere nella comunità di Gerusalemme.

 

Quando ha scritto Marco?

 

Il Padre O’Callaghan, analizzando il frammento di papiro 7Q5 trovato nelle grotte di Qumran, ha notato che questo si può far coincidere soltanto con Mc 6,53-54. Il reperto è dunque prezioso, perché è stato trovato in un vaso di terracotta contenente papiri provenienti da Roma e perché è stato scritto prima dell’anno 50. Si possono avanzare infinite obiezioni alla scoperta, ma essa resta una identificazione concreta.

Se, poi, il testo stesso del Vangelo ci permette di capire che è una sintesi e un riepilogo degli altri te Vangeli, allora questi erano scritti prima dell’anno 50.

 

 


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