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I Vangeli, gli Evangelisti e i loro simboli

 

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Qui è riassunta la storia dei Vangeli.

Non abbiamo intenzioni teologiche; esaminiamo semplicemente e le testimonianze storiche.

Cerchiamo pure di tradurre nel modo più esatto i testi del Nuovo Testamento, usufruendo delle edizioni critiche in greco.

Per approfondire ulteriormente si possono seguire i vari link.

 

La fede è dono di Dio come lo era per le persone che vedevano e ascoltavano Gesù, ma non sempre credevano in lui.

Tuttavia non si può credere senza vedere Gesù Cristo o senza testimonianze certe su di lui.

Si può ben credere sulla testimonianza della Tradizione viva della Chiesa, ma senza i quattro Vangeli non sapremmo nemmeno più chi fosse Gesù Cristo.

Quando era indiscussa l'autorità della Tradizione e dei quattro Vangeli, è stato possibile accettare che le notizie sui Vangeli fossero esigue e incerte, come pure che ci fossero numerosi errori di traduzione dei Vangeli dal greco.

Ora, però, il mondo mette in discussione le fondamenta del Cristianesimo, per cui è necessario ricostruire il valore storico della testimonianza evangelica. E non cediamo all'insinuazione che questo sia "fondamentalismo", perché il Cristianesimo può fare a meno di tutti gli orpelli mondani. Certamente non può fare a meno di conoscere Gesù Cristo e di rendersi conto che è il Figlio di Dio, fatto uomo in un preciso luogo e in un preciso tempo. Altrimenti, tolti gli orpelli "religiosi", i cristiani crederebbero nel nulla.

 

Sull'origine dei quattro Vangeli, gli scrittori cristiani dei primi secoli ci forniscono poche e incerte notizie. Il motivo è semplice. Tra il tempo in cui i Vangeli canonici furono scritti e il momento in cui si cercò di capire come ciò era avvenuto sono interposti avvenimenti sconvolgenti: le rivolte giudaiche e l'inizio delle persecuzioni romane. Non si trovava più niente della situazione in cui Gesù compì la sua opera.

Ora, l'unica possibilità di capire come furono scritti questi quattro libri si trova in ciò che vi è scritto e nella ricostruzione dei fatti storici di quel tempo. Spesso è necessario ritradurre i testi originali, in lingua greca, nel modo più preciso. Le stesse informazioni scritte da San Girolamo, che ha tradotto i Vangeli dal greco in latino rispettando traduzioni precedenti, corrispondono in minima parte a ciò che leggiamo nei Vangeli. Come si può pensare che, di fronte ad avvenimenti tanto straordinari, nessuno abbia provveduto immediatamente a narrarli per iscritto? E come si può pensare che, sotto la pressione degli scribi, dei farisei e dei sacerdoti; sotto la pressione del razionalismo ellenista e del potere romano, nessuno abbia avuto l'idea di lasciare documenti storici validamente certificati?

È molto importante sapere se i Vangeli raccontano veramente quello che ha fatto il Figlio di Dio sulla Terra e se ci hanno conservato le sue parole autentiche.

Ma pure gli studi scientifici sulla Sindone riguardo alla morte di Gesù. richiedono di tener presente quali sono i Vangeli più storici. Sarà allora possibile dare risposta ai dubbi che sorgono.

Sembra che i Vangeli non ci dicano molte cose che avremmo voluto sapere, perché, trattandosi di fatti straordinari, noi vorremmo più condiscendenza ai pettegolezzi e alle emozioni. In realtà Gesù Cristo parlava e agiva nella grezza e dura vita, non in un ambiente già segnato dalla civiltà cristiana

Ci pare, dunque, che gli Evangelisti abbiano scritto ciò che è avvenuto realmente e tutto quanto occorreva sapere; che basti di conseguenza leggere i Vangeli secondo l'intenzione di chi li ha scritti.

Se possiamo conoscere concretamente Gesù, possiamo mettere in pratica le sue parole divine (Lc 6,47-48) e imitare le sue opere, per costruire la nostra vita "sulla roccia".

Qui cercheremo di comprendere che Gesù Cristo è vero perché è storico, testimoniato e certificato.

D'altra parte, il Cristianesimo si diffuse rapidamente nel mondo pagano perché libera le persone dalla «grande tribolazione», in modo semplice e concreto, (vedi Gv 16,33 e Ap 7,14).

 

Ricordiamo che due degli evangelisti, Giovanni e Matteo, erano apostoli.

Abbiamo compreso che Giovanni incominciò proprio dall'inizio della vita pubblica di Gesù, dopo le tentazioni nel deserto, a scrivere il resoconto di quello che il Maestro faceva e diceva. Così come Matteo iniziò circa un anno dopo. L’uno evitava di scrivere ciò che scriveva l’altro.

Certamente Gesù ne era al corrente; inoltre, da alcuni indizi abbiamo dedotto che essi avevano ricevuto un “incarico ufficiale” da alcune autorità ebraiche di Gerusalemme.

Luca stesso non era estraneo a questo incarico. Fu discepolo di Gesù quasi dall’inizio, ma non lo seguiva continuamente nei suoi spostamenti.

Marco fu discepolo di Gesù verso la fine della sua vita pubblica (Mc 14,51-52).

Per questi motivi, e per altri che diremo in seguito, il legame tra i Vangeli ci è riapparso chiaro, dopo tanti secoli, purché usiamo l'accorgimento di leggerli partendo da Giovanni e da Luca.

 

Giovanni, un libro per adolescenti (e per tutti)

 

aquila

Il Vangelo di Giovanni  (simbolo: l'aquila) presenta aspetti che sembrano in contrasto tra loro, finché non abbiamo ricostruito concretamente le situazioni, i luoghi e i tempi in cui e stato scritto.

Nel Vangelo, Giovanni non è mai esplicitamente nominato. Soltanto nel capitolo 21 lo individuiamo, per esclusione, come uno dei due figli di Zebedeo.

Sappiamo, dai Vangeli, che Giovanni e suo fratello Giacomo erano soci di Simone e Andrea nel mestiere di pescatori, sul Lago di Galilea. Erano tutti di Betsaida. Secondo alcuni indizi che troviamo nei Vangeli stessi, pare proprio che Giovanni e Andrea abbiano frequentato la scuola a Gamla, che era lontano solo una decina di chilometri dal loro villaggio.

Gamla era in stretto rapporto con l’ambiente del Tempio di Gerusalemme e ciò permise a Giovanni di Zebedeo di avere conoscenze e amicizie importanti.

All’inizio del Vangelo, Giovanni si presenta come discepolo del Battista, insieme ad Andrea, senza accennare al proprio nome, e ambedue seguono il Maestro Gesù.

Sappiamo poi, dagli Atti degli Apostoli, che non ha frequentato le scuole superiori (At 4, 13).

La scuola che tutti i ragazzi ebrei frequentavano finiva attorno ai 12-14 anni. Se Giovanni e Andrea erano ancora “discepoli” avevano dunque questa età.

L’evangelista, essendo così giovane e fresco di scuola, racconta gli avvenimenti in modo vivace e spontaneo, con attenzione ai particolari, ma si limita ad alcuni episodi. Eppure il libro è reso molto unitario per mezzo di brevi commenti, presenta un quadro d'insieme e una visuale da adulto.

Sembra proprio il componimento di un adolescente, rifinito sotto la guida di un buon insegnante, come spiegheremo in seguito.

Eppure il Vangelo non è omogeneo. Vi riconosciamo interventi e certificazioni di personaggi diversi, con stile diverso, come se si trattasse di documenti importanti da conservare intatti.

Mettiamo in evidenza le certificazioni:

Gesù stesso, i suoi primi cinque discepoli e Nicodemo che certificano ad alcuni che non vogliono credere (Gv 3,11),

Giovanni Battista che certifica con sigillo (3,27-36),

l'evangelista Giovanni che ha visto la morte di Gesù e un personaggio indeterminato (ma è Luca, sostenuto da Teofilo) che confermano la sua testimonianza (19,35),

Giovanni e Pietro al sepolcro (20,5-9),

lo scrittore che ha raccolto le testimonianze scritte da Giovanni e almeno un'altra persona che rendono testimonianza legalmente valida (21,24).

Tra i diversi documenti, di particolare rilievo sono i discorsi di Gesù.

Scritti con parole semplici, rivelano una sapienza talmente sovrumana che né un adulto, né tanto meno un ragazzo, ne sarebbero capaci. Non è possibile che siano riflessioni dell’evangelista ormai anziano, perché in tal caso egli avrebbe raccolto, durante gli anni della sua vita, molte idee che invece Gesù non gli avrebbe saputo comunicare. Lo Spirito Santo avrebbe pertanto dovuto rimediare in un modo speciale.

E se, invece, Gesù stesso avesse dettato quelle parole, direttamente nella lingua in cui sono scritte, il greco?

Lui sì, con parole sue, poteva esporre in maniera adatta ai ragazzi argomenti così "complicati".

Giovanni era il "discepolo che Gesù aveva caro" e questo significa semplicemente che il Maestro gli ha dettato insegnamenti particolarmente accurati.

Dettargli in greco per Gesù non era un problema, infatti in Galilea si parlavano correntemente l’aramaico e il greco popolare; ne è testimonianza il fatto che di due apostoli, fratelli tra loro, l’uno aveva un nome ebraico, Simone, l’altro un nome greco, Andrea.

 

IL GRECO DI GESÙ CRISTO

 

Una testimonianza archeologica è l’Editto di Nazareth, una lapide rinvenuta appunto a Nazareth e datata da alcuni studiosi all’anno 41 (in realtà 44 secondo la cronologia ricostuita in questo sito), quando regnava l'imperatore Claudio:

«1. Editto di Cesare

2. È mia decisione che i sepolcri e tombe, di qualsiasi tipo –

3. che furono fatte per venerazione dei genitori o dei figli o dei familiari –

4. queste rimangano inamovibili per sempre. Qualora qualcuno legalmente

5. denunci persone che hanno distrutto o hanno in qualsiasi modo sottratto

6. chi vi era sepolto o hanno, con cattiva intenzione, spostato in altri posti

7. coloro che vi sono stati sepolti, commettendo un crimine contro di loro, o hanno

8. spostato pietre sepolcrali, io ordino che contro queste persone

9. venga creato un tribunale giudicante, proprio come [è fatto] riguardo agli dei nelle pratiche

10. religiose degli uomini, perciò sarà ancora di più obbligatorio

11. onorare coloro che sono stati sepolti. Voi non dovete assolutamente

12. permettere a nessuno di spostare [coloro che sono stati sepolti]. Ma se

13. [qualcuno lo facesse], io ordino che [il violatore] subisca la pena capitale con

14. l'accusa di violatore di tombe».

A Nazareth, dunque, si comprendeva e si parlava correntemente il greco. Infatti, se l'imperatore Claudio avesse voluto dare particolare solennità a questo editto, con un linguaggio estraneo alla gente, avrebbe usato il latino parlato a Roma, non il greco. Invece ha voluto che tutti comprendessero facilmente ma non ha fatto tradurre in aramaico, perché il greco era ben compreso a Nazareth. Perciò possiamo dire che anche Gesù parlava correntemente il greco.

 

Notiamo, inoltre, che nel Vangelo di Giovanni sono ricordati soprattutto personaggi dal nome greco, come Filippo e Nicodemo.

Ci sono due passaggi che ci aiutano a comprendere in che modo Giovanni ha scritto:

- Gv 12,20-23: C’erano anche alcuni Greci tra coloro che salivano per rendere il culto durante la festa. Questi si avvicinarono a Filippo (nome greco), quello di Betsàida di Galilea, e lo pregarono dicendo: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo va a dirlo ad Andrea (altro nome greco), e poi Andrea e Filippo vanno a dirlo a Gesù. Gesù risponde: «È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo…». Gesù non ha bisogno di intermediari, né per comprendere Andrea, che parla in greco, né per parlare ai Greci: conosce bene questo linguaggio.

- Gv 14,20-15,1: «Non parlerò più di molte cose con voi: infatti viene il principe del mondo; non ha nessun potere su di me, ma (gli è dato potere) perché il mondo sappia che io ho familiarità con il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così agisco. Alzatevi, usciamo di qui». «Io sono la vera vite e il Padre mio è il contadino…». Come si spiega che Gesù, nel bel mezzo di un discorso profondamente "teologico", esca con una frase così pratica e "banale"? Semplicemente perché sta dettando al discepolo caro. È proprio lui, il Maestro, che suggerisce al discepolo di scrivere anche questo, perché rimanga come perenne testimonianza dell'azione di dettatura.

 

Anche l'ambientazione geografica del Vangelo sembra inspiegabile. Giovanni ha scritto principalmente fatti avvenuti a Gerusalemme e ricorda che «la salvezza viene dai Giudei» (Gv 4,22) ma, nello stesso tempo, considera i Giudei come estranei a lui e ai suoi lettori. Si rivolge evidentemente a persone che vivono lontano da Gerusalemme, che non abitano nelle zone della Galilea percorse da Gesù, ma che, per l'evangelista, sono facilmente raggiungibili e sono in amicizia con lui.

Questi dati, e altri ricavati dall'Apocalisse e dall'archeologia, mi hanno fatto concludere che a comporre il Vangelo di Giovanni sia stato uno scriba di Gamla, città-fortezza a nord est del Lago di Galilea, trascrivendo e inquadrando con esattezza le testimonianze dell'apostolo Giovanni di Zebedeo.

— In effetti, nel quarto Vangelo, leggiamo che «il discepolo che Gesù aveva caro», quello che nella cena si è trovato al suo fianco e gli ha domandato: "Signore, chi è che ti tradisce?"», «ha scritto» le cose di cui «rende testimonianza» (Gv 21,20.24).

— Dunque Giovanni aveva già scritto, ma l’autore del Vangelo è un altro, che a sua volta gli rende testimonianza (Gv 21,24-25).

— Perché questa persona ha dovuto trascrivere? Le testimonianze dell'apostolo, scritte, non erano all'altezza di chi doveva leggerle?

 

Lo scriba era stato maestro di Giovanni e, per questo, curava la rifinitura degli scritti dal ragazzo, non abilitato a scrivere su un rotolo sacro, e raccoglieva da lui e da altri ogni informazione necessaria.

Il capitolo 10 dell'Apocalisse ci illumina sulle circostanze in cui fu scritto il Vangelo di Giovanni, se lo riconosciamo nel "piccolo volume", dopo aver riconosciuto la concretezza storica dell'Apocalisse stessa, come mostriamo in altro luogo di questo sito.

 

Molti hanno detto che Giovanni scrisse il Vangelo circa 60 anni dopo che i fatti erano avvenuti; ma come gli fu possibile esprimersi con tanta freschezza e sicurezza, cosa che sarebbe stata impossibile soltanto a distanza di pochi mesi?

Chi avesse scritto tanti anni dopo non si sarebbe soffermato su alcuni episodi soltanto, per descriverli dettagliatamente, avrebbe cercato di comporre un racconto più completo e con meno particolari, dato che sicuramente erano ormai sfumati nella memoria dello stesso protagonista.

In realtà tutto questo lavoro, tranne alcune annotazioni, si svolse prima dell'ascensione di Gesù al cielo. Nel comporlo, lo scriba aveva presenti gli abitanti della sua città, soprattutto i suoi discepoli a scuola, e seguì il metodo che Gesù stesso aveva già usato per i propri giovani discepoli, dettando a Giovanni in un modo che fosse facile da imparare a memoria.

Infatti si comprende meglio il Vangelo di Giovanni se lo si immagina come la testimonianza di un adolescente, indirizzata ad adolescenti, scritta durante gli avvenimenti tra l'anno 29 e il 33. Anzi, questa è la ragione sufficiente a spiegare l'esistenza di un Vangelo con tali caratteristiche.

E il Maestro che istruiva gli apostoli, adolescenti o comunque giovani, era Figlio di Dio.

Si deve allora immaginare che il libro nasconda un tesoro di istruzioni sicure per l’ardua vita degli adolescenti, tanto più sicure dopo avere scoperto che le parole tramandate in greco sono dettate direttamente da Gesù.

Questo Vangelo, completato per primo, fu conservato da Giovanni e dalle comunità di suoi amici, anche perché entrarono presto in circolazione i due libri di Matteo.

Venne pubblicato per ultimo intorno all'anno 73 (70, secondo la cronologia tradizionale), comunque dopo la caduta di Gamla, nel 70 (67).

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Luca, un documento ufficiale

 

Ora, avviciniamo il Vangelo di Giovanni a quello di Luca. Ambedue forniscono alcuni riferimenti che ci aiutano a combinare insieme i diversi momenti della vita di Gesù, fino a ottenere un racconto unico, molto più preciso e ricco. Così scopriamo che sono stati scritti seguendo l'ordine in cui i fatti sono accaduti.vitello

La lettura storica dei fatti, consentita da questi due Vangeli, rende evidente anche oggi il dono che Dio ha fatto agli uomini, mandando suo Figlio Gesù Cristo.

Gesù dettava all'evangelista Giovanni soprattutto nella realtà difficile e complicata di Gerusalemme. Luca si è assunto il compito di scrivere alle più potenti autorità del suo tempo. Il loro racconto storico, combinato, è da rileggere nelle situazioni complesse di ogni giorno. Infatti Gesù non ha mai invitato i suoi a raccogliersi nel silenzio, li ha invitati a seguirlo e a stare con lui, Maestro e Re (Signore). I suoi discepoli erano adolescenti e giovani: li istruiva nel modo più adeguato alla loro età, a quel tempo come oggi.

A molti di coloro che videro Gesù, o accolsero la testimonianza dei suoi discepoli, il dono di Dio apparve tanto grande che si impegnarono, quasi istintivamente, a vivere tutta la loro vita secondo le parole del Maestro, i suoi segni e il suo esempio regale.

Allo stesso modo oggi, se ci affidiamo alle parole e alle azioni storiche del Cristo Re in qualunque situazione, riceviamo quell'aiuto che ci serve per far crescere in noi la vita vera, che non ci viene più tolta. Tra le persone che si affidano al Signore Gesù sorgono intrecci di pensieri, sentimenti e azioni, che sono segni del regno di Dio nel mondo.

E gli altri due Vangeli, uno di un apostolo e l'altro così ordinato e scorrevole? Qual è il loro valore storico?

È  l'evangelista Luca, come vedremo, a condurci nella scoperta.

All'inizio del racconto di Luca ci sono poche righe che espongono il metodo da lui seguito e con le quali, da pubblico ufficiale, certifica il Vangelo. Sono piuttosto difficili da tradurre dall'originale greco ma, alla fine, ci forniscono indicazioni molto importanti:

Luca (simbolo: il vitello alato) ha composto il suo Vangelo negli anni 35-40 e si è servito di un racconto già esistente, opera di persone che erano state «fin dall'inizio testimoni diretti (dei fatti) e incaricati di (scriverne) la relazione». L'evangelista ha trascritto «ordinatamente», «dopo aver acquisito ogni cosa da cima (a fondo)» e dopo aver tradotto con cura in greco ciò che era stato scritto in aramaico.

Chi poteva aver registrato i fatti fin dall'inizio? Possono essere stati Matteo, esattore delle tasse a Cafarnao, che era abituato ad annotare tutto il suo movimento di denaro, e Giovanni di Zebedeo. Come è già stato detto sopra, Matteo aveva iniziato a scrivere appena Gesù si era stabilito in questa cittadina, intuendo subito l'importanza delle sue parole e opere. Giovanni aveva cominciato il giorno stesso che il Battista aveva presentato Gesù come l'«agnello di Dio».

Luca era ben al corrente dei fatti perché, mentre accadevano, si trovava a Gerusalemme come giovane medico e funzionario del Tempio; ed era molto realista.

Attinse invece le notizie della nascita di Gesù e della sua vita nascosta dalla stessa madre di lui, Maria, che era probabilmente di stirpe sacerdotale e si era costituita un racconto di stile sacerdotale, da "conservare nel cuore" (a memoria) e da ripetere oralmente quale testimonianza precisa degli avvenimenti.

Nel suo Vangelo si coglie tutta l'attenzione alla Chiesa, apostoli e discepoli, con i loro problemi. Ma, teso com'era a costituire una prova della divinità di Gesù per l'imperatore Tiberio, coglieva ogni occasione per far notare come il Signore era rispettoso, anzi misericordioso verso i Romani e pienamente inserito nella tradizione del popolo ebreo.

Il Vangelo di Luca fu da lui conservato finché c'era una possibilità di presentarlo al Senato di Roma, ma dopo l'inizio delle persecuzioni di Nerone venne pubblicato, intorno all'anno 68, .

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Matteo riordinò il suo primo libro, cioè la «relazione degli avvenimenti», per la nazione ebraica

 

uomoCosì, mentre Luca copiava il racconto iniziale di Matteo, «molti», servendosi dello stesso "tesoro", avevano «incominciato a strutturare un racconto ufficiale» ossia il Vangelo secondo Matteo (simbolo: l'uomo alato) che è arrivato a noi. Infatti questo Vangelo si presenta proprio come un riordinamento degli insegnamenti di Gesù, eseguito da «molti» (Mt 13,51-52). Matteo era presente e dirigeva il lavoro.

Bizzarro è il fatto che il Vangelo di Matteo cerchi di cambiare il più possibile ciò che leggiamo nel Vangelo di Luca; ma c'è una spiegazione semplice. Matteo aveva già pubblicato la sua «relazione» degli avvenimenti nel 33-34 e, per poter pubblicare un nuovo libro, gli scribi dovevano farlo apparire completamente diverso. Ciò non toglie che abbiano mantenuto sostanzialmente la verità storica, anzi hanno fatto in modo che le variazioni si potessero ben riconoscere, al confronto con gli altri tre Vangeli.

Contemporaneamente gli scribi hanno estratto dal loro «tesoro» (comprendente anche la conoscenza delle antiche Scritture e ciò che essi avevano ascoltato e visto seguendo Gesù) «cose nuove e cose antiche». Hanno potuto informarsi anche presso Maria e perfino presso Giuseppe che, a quanto risulta, era ancora vivo.

Questo Vangelo contiene espressioni che ci pare strano siano state pronunciate da Gesù. Si deve allora confrontarle con le parole e le opere storiche del Maestro, per non ricavarne significati assurdi, ma ottenere indicazioni preziose, provenienti sempre da Lui attraverso la riflessione dei discepoli.

Che importanza aveva un libro così?

Era destinato alla lettura in sinagoga e alla scuola ebraica nell'impero romano. Per questo fu il primo a essere diffuso nelle Chiese cristiane, a partire dall'anno 42.

Il Vangelo di Matteo è stato scritto in ambiente caratterizzato dall'Antico Testamento e con lo stile degli scribi dell'Antico Testamento. È stato strutturato come nuova legge del Cristo Re, ossia come ponte tra l'Antico e il Nuovo Testamento

Rappresenta la fatica di procurare "otri nuovi" per il "vino nuovo" in un ambiente di "vino vecchi" e di "otri vecchi".

Ora viviamo nel nuovo e non possiamo più usare otri vecchi. Ma l'Antico Testamento è vissuto ancora dal popolo ebreo e per questo il Vangelo secondo Matteo è ancora attuale.

Non è più il Vangelo principale per i cristiani. Per noi fermarci sul ponte è ingratitudine verso Gesù.

Gli altri tre Vangeli sono più chiaramente testimonianze di quei fatti straordinari, che sono l'origine del Nuovo Testamento.

Se leggiamo con attenzione, possiamo notare che gli scribi autori del Vangelo si rivolgevano, con l'autorità del Cristo Re, a tutti gli altri scribi e ai farisei, ma anche ai capi di Israele. Proclamavano con franchezza e con precisione la Nuova Legge, che era ebraica e cristiana perché desunta dalle parole e opere del Cristo. Scrivevano dunque negli anni in cui la nazione ebraica era ancora in pace, con tutte le sue tradizioni e le sue istituzioni, ben prima della rivolta giudaica, e attendevano che il regno di Dio e del Cristo si affermasse presto in Israele e nel mondo.

Quando però questa situazione di tranquillità venne meno, a causa dell'incapacità politica di Nerone e delle sue persecuzioni verso i Cristiani, venne meno anche il rapporto tra gli scribi cristiani e i dottori della Legge ebraica.

Non si comprendevano più le intenzioni storiche degli scribi di Matteo e ciò ha fatto prevalere man mano, nella Chiesa, l'insegnamento morale rispetto alla concretezza storica dell'Incarnazione.

Così è più complicato conoscere realmente Gesù, trarre beneficio dalla sua salvezza e mettere in pratica le sue parole.

Tuttavia lo Spirito Santo ha voluto che il Vangelo di Matteo svincolasse Gesù dalla situazione storica in cui operò, perché fossero date «pienamente opportunità alle Genti» (Lc 21,24).

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Marco, la sintesi ordinata degli altri tre Vangeli e la testimonianza di Pietro

 

Il Vangelo di Marco (simbolo: il leone alato),  a sua volta, risulta essere una sintesi ben ordinata di fonti diverse. Lo dice egli stesso, all'inizio del Vangelo: «Ricapitolazione (pare pleonastico che Marco intendesse "inizio" del suo libro) del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio». Il vocabolario greco ci permette di tradurre così il primo versetto e di scoprirne il significato più ovvio. Vi è contenuto anche il significato di “fondamenti” o “basi” della Buona Notizia di Gesù Cristo, perché gli evangelizzatori la possano annunciare con semplicità e precisione. La sua sintesi dovette tener presente lo schema del Vangelo secondo Matteo, che si stava diffondendo in tutto l'impero romano.leone

Ma, dopo quanto abbiamo detto, le fonti diverse possono essere semplicemente gli altri tre Vangeli e le testimonianze dell'apostolo Pietro.

Anche il Vangelo di Marco è originale in lingua greca. L'Evangelista scriveva per Pietro e, nello stesso tempo, per i nobili romani che nell'anno 45 (tradizionalmente 42) gli avevano chiesto un racconto scritto di ciò che aveva compiuto Gesù.

Marco si chiamava anche Giovanni: il primo nome era romano, il secondo ebraico.

Egli sapeva dunque scrivere in lingue diverse, ma scrisse in greco perché le persone colte di Roma parlavano e scrivevano in questa lingua, divenuta ufficiale nell'Impero Romano.

Scrisse il Vangelo in quei due anni, tra il 45 (42) e il 47 (44).

La pubblicazione avvenne a Roma nel 47 (44), subito dopo la persecuzione di Agrippa a Gerusalemme, la liberazione miracolosa di Pietro e il suo ritorno nella capitale dell'impero.

Il motivo per cui il greco di Marco segue il linguaggio popolare di Galilea è proprio che Marco ascoltava Pietro. L'Apostolo pescatore di Galilea parlava un greco popolare, ma era capo di pescatori e non povero, per cui era in affari anche con i Romani.

I Vangeli di Matteo, Marco e Luca sono detti sinottici, perché "vedono insieme" gli avvenimenti, sono simili e si possono confrontare l'un l'altro, brano per brano. I tre Vangeli sinottici hanno una base comune, ma in greco e non in aramaico: infatti tutti e tre usano molte frasi uguali in lingua greca, con variazioni minime. Se anche ci fosse stato un periodo di tradizione orale, prima che i Vangeli venissero scritti, questa tradizione sarebbe stata codificata in modo preciso in lingua greca. Perciò è molto più verosimile che all'inizio ci sia stato uno scritto in lingua greca e, precisamente, la traduzione effettuata da Luca da un testo aramaico e la sua raccolta di testimonianze già in greco.

L'ordine in cui i Vangeli sono conservati nella Bibbia è quello di pubblicazione.

 

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Infine ricordiamo una frase di Gesù che appare misteriosa nella traduzione corrente, ma tradotta più letteralmente si rivela di immensa portata: "In quello stesso momento esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli scaltri e le hai rivelate ai semplici. Sì, Padre, perché così è sorta benevolenza al tuo cospetto»" (Lc 10,21).

 

 

I simboli dei quattro Vangeli

 

Perché i quattro Vangeli hanno questi simboli?

 

I simboli associati ai Vangeli e agli evangelisti provengono da un passo del profeta Ezechiele e da un altro passo dell'Apocalisse, che chiaramente riprende Ezechiele stesso:

«Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d'uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e, ognuno dei quattro, fattezze d'aquila» (Ez 1,10);

«In mezzo al trono e intorno al trono quattro animali pieni d'occhi davanti e di dietro. Il primo animale simile a un leone, il secondo animale simile a un vitello, il terzo animale con la faccia come d'uomo, il quarto animale simile a un'aquila che vola» (Ap 4,6-7).

Il Padre della Chiesa San Girolamo, nel IV secolo, fu primo ad associare in questo modo i quattro evangelisti ai quattro simboli, trovandoli adatti a rappresentarli.

Matteo è rappresentato dall'uomo alato, perché all'inizio del suo Vangelo pone la genealogia umana di Cristo.

Marco è raffigurato come un leone alato, perché all'inizio parla di Giovanni che viveva nel deserto e dice che Gesù «stava tra le fiere» (Mc 1,13).

Luca invece è associato al toro alato, perché incomincia parlando del sacerdote Zaccaria, della classe di Abia, che offriva sacrifici (di animali e soprattutto di vitelli) al Signore, nel Tempio, secondo il turno della sua classe.

Giovanni, infine, è come un'aquila, perché egli «si eleva nelle regioni più alte della conoscenza, come l'aquila s'innalza a volo verso il sole».

Naturalmente in Ezechiele i quattro simboli non potevano indicare gli evangelisti. Ma anche nell'Apocalisse hanno un significato diverso: rappresentano presumibilmente i capi del popolo delle quattro regioni più importanti di Israele, ossia di tutto il popolo: il leone è simbolo del capo di Giudea, il vitello (es.: Osea 8,6) di quello di Samaria, l'uomo di quello di Perea, l'aquila di quello delle due Galilee, l'inferiore e la superiore ("le due ali dell'aquila"). Infatti i quattro animali dell'Apocalisse appartengono simbolicamente al "cielo", ossia al Sinedrio, che era l'organo supremo di governo, religioso ma anche politico, del popolo di Israele.

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Giovanni Conforti

Aggiornato il 7 settembre 2015

 


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