Flavio Giuseppe
Lo storico Flavio Giuseppe in Guerra Giudaica, IV,1-83, ricorda una città ebraica chiamata Gamla, situata su un monte. Rileggiamo la descrizione di Giuseppe.
Da un'alta montagna si protende infatti uno sperone dirupato il quale nel mezzo s'innalza in una gobba che dalla sommità declina con uguale pendio sia davanti sia dietro, tanto da rassomigliare al profilo di un cammello; da questo trae il nome ... Sui fianchi e di fronte termina in burroni impraticabili mentre è un po' accessibile di dietro, dove è come appesa alla montagna; ma anche qui gli abitanti, scavando una fossa trasversale, avevano sbarrato il passaggio.
Le case costruite sui ripidi pendii erano fittamente disposte l'una sopra l'altra: sembrava che la città fosse appesa e sempre sul punto di cadere su se stessa.
Affacciava a mezzogiorno, e la sua sommità meridionale, elevandosi a smisurata altezza, formava la rocca della città, sotto cui un dirupo privo di mura piombava in un profondissimo burrone; dentro le mura v'era una fonte e quivi la città terminava (Guerra Giudaica, IV,5-8).
Era situata nel Gaulan (Golan) inferiore ed era «la più forte in quella regione» (ibid., II,568). Gli abitanti parlavano il linguaggio dei Siri come gli altri nella parte settentrionale della Palestina (ibid., IV,37-38), ossia l'aramaico e il greco.
I nomi dei capi di Gamla ricordati da Flavio Giuseppe sono Carete e Giuseppe, uno greco e l'altro ebreo. A Gamla, dunque, come in Galilea, si parlavano sia l'aramaico che il greco.
Nella città la cultura ellenistica era stata integrata in quella ebraica.
All'inizio della Rivolta Giudaica, Giuseppe stesso, incaricato da Gerusalemme di organizzare la difesa della Galilea in vista degli scontri con i Romani, aveva fatto completare le fortificazioni di Gamla e di altre città (ibid., II,568.574). Gamla, dunque, era cara ai capi e ai sacerdoti di Gerusalemme.
La città fu assediata da Erode Agrippa II nel 69, ma resistette a lui e alle legioni romane fino agli inizi di ottobre (intorno al giorno 13) dell'anno 70 d. C., quando i Romani la espugnarono e uccisero quattromila abitanti. F. Giuseppe riferisce che altri cinquemila morirono correndo giù per un dirupo all'estremità occidentale della collina. Tuttavia durante l'assedio molti, non impegnati nella difesa della città, erano fuggiti attraverso i burroni non sorvegliati dai Romani o i passaggi sotterranei.
Esiste una moneta/medaglia commemorativa di questa impresa di Vespasiano.
Giuseppe parla della vicenda di Gamla con simpatia, dissimulata in vari modi, ma non compiange la sua fine, come se gli stessi abitanti sopravvissuti non la sentissero come una fine ma come un martirio.
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Zeloti
Bisogna ricordare che da quella città, agli inizi del I sec. d.C., era uscito Giuda, figlio di Ezechia (di Gamla, appunto), il fondatore della setta degli zeloti (F. Giuseppe, Guerra Giudaica, II,56.118; Antichità Giudaiche, XVIII,4-10). Giuseppe dice chiaramente che gli abitanti della città erano "giudei".
Gli zeloti osservavano la Legge di Mosè in modo scrupoloso, ma molto concreto. Si organizzarono in un partito politico, attivo in Palestina già all'inizio del primo secolo, e Gamla si trovò immersa in questo movimento.
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Gli archeologi del Golan
Nel 1968, dopo la Guerra dei Sei Giorni, gli archeologi ebrei identificarono le rovine di Gamla a nord est del Lago di Galilea, su una collina rocciosa che emerge sul pendio del Golan. Gli scavi hanno permesso di stabilire che la città di Gamla sorse intorno al 150 a.C.; la fondò uno dei gruppi di Ebrei provenienti dall'esilio babilonese, sui resti di un insediamento preesistente della Prima Età del Bronzo.
Sono state trovate diverse monete di Tiro, con scritta in greco, per cui Gamla aveva da lungo tempo ampi contatti commerciali anche con l'ambiente ellenistico, oltre che con l'oriente.
I reperti a Gamla sono numerosi e, a volte, unici per ricostruire la vita degli ebrei nel I secolo d.C.; in particolare sono state rinvenute moltissime punte di freccia, usate da truppe diverse dell'esercito romano.
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Ebrei osservanti
Gli archeologi del Golan hanno raccolto le testimonianze che la maggior parte degli abitanti di quella città sul monte erano ebrei zelanti, sinceramente fedeli alla legge giudaica, anche se si trovarono circondati da pagani, e ciò corrisponde alla descrizione che Flavio Giuseppe ci ha fornito della patria degli zeloti. In particolare:
- alcuni bagni rituali, i miqwehs, che permettevano alle persone impiegate a produrre l'olio d'oliva di produrlo "ritualmente puro" e adatto agli usi del Tempio di Gerusalemme;
- una sinagoga, riconosciuta come tale per avere accanto un bagno rituale;
- un vicolo a sud della sinagoga a un certo punto si restringe per la presenza di due pilastri sui due lati: ciò trasformava la via pubblica in via privata e in essa di sabato non era proibito dalla legge portare pesi;
- in una casa, sotto il pavimento in fondo a una stanza, è stata trovata una sepoltura antica, ma si è notato che il proprietario aveva riempito di materiale quella parte della stanza, perché chi passa sopra una sepoltura, secondo la legge, si rende impuro;
- nella città sono state trovate soltanto decorazioni geometriche e nessuna figura rappresentata, perché il secondo comandamento proibisce di dipingere o scolpire immagini; non se ne sono trovate nemmeno sulle lampade a olio, mentre in altri luoghi dell'impero romano le lampade venivano decorate spesso con volti umani o animali; in realtà alcuni frammenti di lampade rappresentano immagini ellenistiche, ma si pensa che appartengano al tempo in cui il pagano Demetrio dominò la città;
- sono state trovate molte lampade, quasi tutte in frammenti, perché la legge giudaica prescrive che un recipiente di ceramica, se è stato danneggiato, debba essere rotto del tutto;
- sei esemplari di una moneta portano un'iscrizione tipicamente ebraica, molto significativa, come vedremo.
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Alla fine di marzo dell'anno 32
Ma poniamo attenzione a quanto dice un altro racconto storico, il Vangelo di Giovanni.
Era la sera in cui Gesù Cristo, poco prima della Pasqua dell'anno 32, moltiplicò i pani e i pesci su uno dei rilievi che si trovano a nord est del Lago di Galilea, in un deserto erboso. Tutti e quattro i Vangeli, se traduciamo attentamente dal greco, sono d'accordo sul luogo in cui avvenne il fatto:
«Dopo questi fatti, Gesù è andato al di là del mare di Galilea, cioè di Tiberìade» (Gv 6,1).
«Allora li prese con sé e si ritirò in disparte verso una città chiamata Betsàida» (Lc 9,10b).
«Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'. ... Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero» (Mc 6,31-33).
Ogni volta che Gesù si dirigeva verso quel "luogo deserto" la gente lo rincorreva: era già avvenuto in un momento ricordato da Lc 4,42-44.
Al ritorno:
«Ordinò poi ai discepoli di salire sulla barca e precederlo verso l'altra riva, davanti a Betsàida, intanto che egli licenziava la folla» (Mc 6,45).
«Ma Gesù, avendo saputo che "stanno per venire a rapirlo per farlo re", si è ritirato di nuovo sulla montagna, tutto solo» (Gv 6,15).
«E dopo essersi separato da loro, si ritirò sul monte a pregare» (Mc 6,46).
«Venuta intanto la sera, i suoi discepoli sono scesi al mare e, saliti in una barca, avanzavano verso l'altra riva in direzione di Cafarnao» (Gv 6,16-17).
È da notare particolarmente ciò che ha scritto Giovanni al capitolo 6, versetti 14 e 15:
Allora (subito dopo il miracolo) gli uomini, considerando il segno che egli aveva compiuto, dicevano: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!». Ma Gesù, avendo saputo che «stanno per venire a rapirlo per farlo re», si è ritirato di nuovo sulla montagna, tutto solo.
Gli «uomini» «stavano per venire a rapire» Gesù, «per farlo re». Chi poteva permettersi un tale atto di forza, se la gente si stringeva attorno al Maestro con tanta insistenza proprio quando egli si recava in quella zona? Soltanto persone che avessero un notevole potere e potessero fornirgli una scorta armata; che fossero sufficientemente autonome dai Romani e anche dagli altri poteri ebrei.
"Rapire" Gesù significava portarlo in un luogo appartato, cioè isolato su qualche monte, per condurlo poi a Gerusalemme e proclamarlo re.
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Dove abitavano?
In quale luogo risiedevano questi "uomini"?
Si deve notare che, «considerando il segno che egli aveva compiuto, dicevano: "Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!"». Avevano capito il significato del segno. Ma passarono all'azione nel modo che sembrava giusto a loro, non sapevano ancora che Gesù non voleva essere re come gli altri di questo mondo. Tuttavia le loro intenzioni rimasero a lui molto care.
Invece, il giorno dopo, molti da Tiberiade e dalle altre città a ovest del Lago, che il Maestro frequentava normalmente, andarono a cercare Gesù ed egli parlò loro a Cafarnao: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (Gv 6,26).
Dunque la gente che circondava di solito il Maestro non ne aveva riconosciuto i segni e perciò non pensava a farlo re.
Soltanto in quel luogo, a nord est del Lago, e soltanto quel giorno, Gesù si era avvicinato a quelli che avrebbero voluto rapirlo per farlo re, pronti com'erano a riconoscerne i segni.
Gamla sulle alture del Golan - Israele - Sullo sfondo è visibile il Lago di Galilea |
Di sicuro abitavano un po' lontano dal luogo dove si trovava tutta la gente con Gesù, perché "stavano per venire". Non erano tra la folla.
Ciò induce a cercare un centro abitato su un monte, né troppo vicino né troppo lontano dal luogo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Dopo aver saputo di Gamla, mi è apparso chiaro che quello era l'unico centro abitato con le caratteristiche richieste. Non era possibile che gli "uomini" provenissero da altra località.
Dallo sperone roccioso, su cui sorge la città, si ha una vista panoramica di colline che degradano verso la riva del Lago, distante circa 8 Km. Il "monte", su cui quella sera Gesù compì il miracolo, era la collina più vicina al Lago, appunto nel territorio dominato da Gamla. Gli abitanti della "città più forte" vedevano dall'alto quella folla di cinquemila uomini, più le donne e i bambini, ed erano i soli che avessero la possibilità di "rapire" impunemente Gesù Cristo.
Quale ragione così importante spinse gli abitanti di Gamla a cercare di rapire Gesù
Abbiamo ricordato che da Gamla vennero i primi zeloti. È facile perciò
supporre che molti abitanti di Gamla, prima di incontrare Gesù Cristo, fossero seguaci molto attivi della setta. Essi volevano ricostituire il regno di Davide,
appena il Messia fosse apparso nel mondo, e intendevano cacciare i Romani con le armi. Ora il Messia era a loro portata di mano e non volevano lasciarsi sfuggire l'occasione propizia.
Dopo una tale esperienza, non c'è alcuna possibilità che gli uomini di Gamla siano poi rimasti estranei a Gesù Cristo; ma non abbandonarono le loro convinzioni zelote.
Gamla non è mai nominata nel Nuovo Testamento, perché c'erano motivi seri a impedirlo: soprattutto la sua indipendenza dai Romani.
Rimane chiusa nel silenzio ma, se la rimettiamo là al suo posto, riusciamo a ricostruire tutti i movimenti, a volte strani, annotati nei Vangeli di Giovanni e di Luca e nell'Apocalisse, documenti che sono in stretta relazione tra loro; ma perfino le lettere di S. Paolo trovano una collocazione molto più concreta.
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L'autore del Vangelo di Giovanni
Esaminando il Vangelo di Giovanni, si capisce che l'autore era uno scriba esperto e trascriveva le testimonianze dell'apostolo figlio di Zebedeo, ancora ragazzo.
Ma come poté sapere e scrivere che cosa intendevano fare quegli «uomini»?
È semplice: lo scriba li ha sentiti ragionare perché viveva tra loro, proprio a Gamla. Non ha spiegato di che uomini si trattasse, perché anche chi doveva leggere comprendeva bene di chi parlava. Non si saprebbe trovare una località più appropriata di Gamla, come luogo di origine del "quarto Vangelo".
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L'Apocalisse e Gamla
Uno scriba dello stesso luogo, quindici o venti anni dopo, ha scritto l'Apocalisse.
Anche il fatto che a Gamla si parlassero sia il greco che l'aramaico, lascia la possibilità di dire che l'Apocalisse, indirizzata "alle sette Chiese che sono in Asia", sia stata scritta qui.
L'enigmatico numero 666, che troviamo nell'Apocalisse, in realtà non è affatto misterioso, anzi aiuta a individuare il periodo in cui il libro di profezia fu scritto.
A rendere più stretto il legame tra le due opere di Giovanni e Gamla contribuiscono alcune monete che richiamano l'immagine della "nuova città santa Gerusalemme", contenuta nell'Apocalisse.
A questo punto Gamla diventa un importante anello di una catena di circostanze che fanno apparire sempre più reale tutto ciò che è scritto nei libri del Nuovo Testamento. Infatti, dopo aver scoperto il ruolo e la posizione geografica di questa città, proprio i passi del Nuovo Testamento di cui non si capiva il significato, o che sembravano in contrasto con altri, diventano quelli che più ravvivano e arricchiscono il racconto storico./p>
Il rapporto che c'è tra Gamla, il Vangelo di Giovanni, quello di Luca e l'Apocalisse, esalta la concretezza storica dei tre documenti antichi. Non c'è alcuna possibilità di avere un quadro storico più esauriente della vicenda di Gesù Cristo e dei primi tempi del Cristianesimo, se non quella di rendere sempre più stretto il collegamento tra questi documenti.
È ben difficile trovare sostegno in altre fonti, eccetto che nelle opere di F. Giuseppe scritte poco tempo dopo.
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Zeloti e cristiani
I due "angeli" del segreto di Fatima "raccoglievano il sangue dei Martiri", che erano stati uccisi anche con "frecce".
Gli "angeli", simbolicamente, rappresentano "uomini", verosimilmente due gruppi.
Se, da una parte, è stata riscoperta la città che dà maggiormente senso a questa immagine, d'altro canto si scopre che essa riuniva in sé le due parti per le quali la Croce è Albero di Vita, Ebrei e Cristiani, ed era aperta a una moltitudine immensa proveniente dalle Genti.
Il fatto che dagli scavi archeologici non risultino reperti riconducibili alla presenza di cristiani a Gamla, significa semplicemente che quei cristiani poterono vivere rigorosamente nell'osservanza delle legge mosaica, come ribadisce più di una volta l'Apocalisse, e non ebbero bisogno di segni speciali per essere cristiani.
Anche se qualcuno dei molti reperti, a una più sottile analisi, potrà rivelare un significato cristiano.
È questo, comunque, il segno che in quegli anni, quelle persone assai istruite e rigorose non trovarono alcun contrasto tra Gesù Cristo e la fede ebraica.
Anzi «la testimonianza di Gesù Cristo», entro la realtà ebraica, dava sufficiente ragione del fatto che gli ebrei cristiani accogliessero nelle loro Chiese «uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione», senza farli passare per la legge mosaica. «Il sangue dell'Agnello» poteva redimerli «dalla grande tribolazione». Gli ebrei seguivano rigorosamente la loro legge e chi non era ebreo entrava pienamente nella Chiesa senza diventare ebreo e senza togliere nulla agli ebrei.
Questo è da riesaminare, dopo un contrasto di quasi duemila anni, causato da Nerone che diede corpo al «mistero dell'illegalità», o «del disordine» (2 Ts 2,7).
Già nel Prologo di Giovanni che mostra subito il problema e la soluzione, si nota la discussione tra legge e grazia e verità o tra legge e fede, che ritroviamo nella Lettera ai Romani e nella Lettera di Giacomo.
L'Apocalisse perfeziona la dottrina messianica degli zeloti, senza bisogno di rinnegarne alcuna parte; e così la espone in tutto il suo splendore.
Dopo essersi assunti l'impegno di fare re Gesù Cristo, gli zeloti di Gamla, divenuti cristiani, senza rinunciare a nulla della loro dottrina e della loro potenza, non pensavano ormai più a scacciare i Romani, ma, quando venne il tempo della rivolta, si prepararono a difendere la loro posizione e a redimere la Gerusalemme santa. Non furono né neutrali né traditori, e coniarono quella moneta per dirlo, ma divenne per loro un martirio anche la dottrina che avevano completato. D'altra parte, perfino uno dei dodici Apostoli di Gesù Cristo, uno dei due Simone, era zelota (in ebraico: "Qan'ana", "cananeo").
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Di che cosa furono martiri?
Gli abitanti di Gamla furono martiri dell'appartenenza ebraica e insieme cristiana; della fedeltà al Dio d'Israele e della testimonianza di Gesù Cristo.
Paolo, perfettamente a conoscenza dell'opera di Teofilo e di Gamla, in contatto con i cristiani di Roma, manifesta una visione completa della situazione.
To gar musthrion hdh energeitai thV anomiaV· monon o katecwn arti ewV ek mesou genhtai.
«Infatti il mistero dell'illegalità è già in azione: solo che esca di scena colui che fino a ora lo trattiene».
(2 Ts 2,7)
Il contrasto tra Ebrei e Cristiani, dopo la persecuzione di Nerone, nacque proprio per l'uscita di scena di Teofilo.
Per ricucire il dialogo si deve ricostruire tutto quanto, attraverso ciò che è codificato nell'Apocalisse.
Gamla è testimone di quando i Cristiani e gli Ebrei vivevano in buon accordo nella terra di Israele.
Il luogo dove è stata riscoperta Gamla, prima dell'identificazione archeologica si chiamava, in arabo, "Khirbet es-Salam" (= "Rovine di Pace") e Gamla potrebbe diventare oggi un segno di riconciliazione, così come l'Apocalisse, a metà del 1° secolo d. C., ricercava tenacemente l'unità tra i Cristiani e gli Ebrei.
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Trentacinque anni di pace
Gamla è segno di dialogo, tra Cristiani, Ebrei e Romani, che funzionò per circa trentacinque anni.
Nella fede e nella Legge ebraica apparve e si inserì "la testimonianza di Gesù Cristo" (espressione presente in Apocalisse e nelle Lettere di Paolo). La troviamo, certificata, nei Vangeli di Giovanni e di Luca.
Teofilo poteva far leva soltanto sulla testimonianza di quanto Gesù Cristo aveva compiuto e di quanto aveva detto, per costruire pace e collaborazione tra tutti gli Ebrei e coloro che erano divenuti cristiani.
Di fronte ai Romani, poi, poteva farsi forte di quest'armonia nella fede in Jahveh e nella preghiera al Tempio (Lc 24,53), per dimostrare che i Cristiani appartenevano a una "religio licita".
Il Vangelo di Giovanni, le sue Lettere e l'Apocalisse, tutti scritti a Gamla, codificano il dialogo già a quel tempo. Risolvono i problemi esistenti tra Ebrei e Cristiani, prima che Nerone, pressato dalla necessità di addossare ad altri la colpa dell'incendio di Roma, perseguitasse i Cristiani provocando una serie di conseguenze negative anche per gli Ebrei. La sua decisione aveva qualcosa di folle ma era anche logica legalmente, in quanto la religione cristiana appariva sempre più autonoma, non aveva un proprio Tempio e Gesù, come Dio, non era riconosciuto dal Senato.
Vangelo di Luca e Atti, invece, sono libri per il dialogo tra i Cristiani e il potere di Roma a quel tempo, potere che rappresenta ogni potere politico. Quel potere che, con il suo intervento ostile, fece sì che anche Ebrei e Cristiani non si comprendessero più.
Gesù aveva ammonito: «Date a Cesare quello che è di Cesare, date a Dio quello che è di Dio», così che i Cristiani potessero esistere in qualsiasi situazione politica senza bisogno di sconvolgerla.
I documenti scritti testimoniano che Dio ha mandato Gesù Cristo, ha superato la necessità del Tempio e ha dato piena opportunità alle Genti. Il dialogo ha come scopo quello di liberare i diversi interlocutori dalla "rovina" introdotta da Nerone, perché si costituiscano nella "salvezza" (Lc 19,10).
Non è il caso di rimanere ancora sotto il ricatto del persecutore dei cristiani e rovina della nazione ebraica.
Nel nostro tempo facciamo fatica ad apprezzare Gesù Cristo come persona reale, dopo che si è parlato di lui per duemila anni nei modi più diversi e dopo tanti ragionamenti critici sulla sua figura. Mi sembra che, per poterlo considerare in modo sereno, occorra semplicemente ricordare i fatti della sua vita, senza troppe spiegazioni e raccogliendo invece informazioni storiche e geografiche sulle situazioni in cui visse, così da rivederlo nella viva realtà del suo tempo.
Il fatto della conversione e del martirio di Gamla non è un fatto di rivelazione, ma lo si scopre direttamente leggendo i documenti della fede cristiana dopo averli riconosciuti come documenti storici.
È sostenuto da elementi archeologici ed è collegato all'Apocalisse, al Vangelo di Giovanni, a quello di Luca, alle Lettere di San Paolo e all'opera storica di Flavio Giuseppe.
Ciò aggiunge ai racconti evangelici testimonianze concrete sui luoghi, sui tempi, sulle situazioni in cui Gesù ha compiuto il suo ministero.
È un fatto che si pone tra la realtà del mondo e la fede nel Dio degli Ebrei, dei Cristiani e dei Musulmani, come anello di congiunzione.
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