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XX domenica del Tempo Ordinario

- Anno B -

 

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Vangelo secondo Giovanni

Gv 6,51-58

 

51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?". 53 Gesù disse loro: "In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno".

 

 

Introduzione

 

Vedere l'introduzione generale.

Si completano e non si ripetono

 

Confrontando questo passo del Vangelo di Giovanni con il racconto dell’ultima cena contenuto nei tre Vangeli sinottici, sorge il sospetto che siano nati presto dei contrasti seri tra i Cristiani, proprio sul significato dell’Eucaristia.

Ma stiamo bene attenti a ciò che dice il Maestro nel Vangelo di Giovanni: «Il pane che io darò è la mia carne», ecc.

I Sinottici raccontano che un anno dopo ha compiuto esattamente questo.

Una volta di più possiamo constatare che Giovanni ha semplicemente evitato di scrivere ciò che scrivevano altri.

 

I Giudei non credevano

 

Giovanni, nel suo Vangelo, distingue chiaramente i Giudei, dai Galilei e dai Samaritani.

Qui nella sinagoga di Cafarnao, mentre Gesù parlava, erano presenti molti che venivano proprio dalla Giudea (Mt 4,25).

Il suo discorso era cominciato così: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati (Gv 6,26). I «Giudei» non avevano fatto attenzione ai segni straordinari compiuti dal Messia.

Ma il giorno prima, Gesù aveva moltiplicato i pani e i pesci al di là del Lago, su un monte a est di Betsaida.

Alcuni uomini, considerando il segno che egli aveva compiuto, dicevano: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!» Ma Gesù, avendo saputo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo (Gv 6,14-15).

Questi non erano Giudei e non erano nemmeno di Corazim, di Betsaida o di Cafarnao (Lc 10,13.15). Avevano preso molto sul serio il segno compiuto da Gesù e stavano per agire in buona fede, non sapendo ancora che il Cristo non avrebbe accettato di essere fatto re dagli uomini.

Ben si capisce che Giovanni e la persona che gli ha composto il Vangelo simpatizzavano per quegli «uomini», perché in realtà provenivano, come loro, dalla regione confinante con la Galilea: l’uno era di Betsaida, l’altro di Gamla.

 

Cibo semplice e divino

 

Gesù annuncia che darà un pane disceso dal cielo. Non darà qualcosa di strano, ma un cibo molto normale e semplice.

Se il giorno prima ha mostrato il potere di creare pane nuovo, buono da mangiare, ora promette un pane con sostanza nuova, la sua carne, ma buono da mangiare nel modo nomale di mangiare il pane.

Questo cibo, semplice e materiale, è il contatto, semplice e reale, con Dio, «perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo» (Gv 6,27).

Il Padre lascia gli uomini nella libertà e nella situazione naturale, che ha creato e donato lui; lascia una certa libertà anche al diavolo.

Ma suo Figlio dice:

«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; e colui che viene a me, non lo respingerò, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.

E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6,37-39).

È un po’ un mistero, ma Gesù sembra dire che non andrà perduto nulla, perché «il Padre ha caro il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (Gv 3,35).

 

La “carne” che non giova e quella che dà vita eterna

 

Verso la fine del discorso, Gesù disse: «È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita» (Gv 6,63). Notiamo che Gesù non parla di una generica “parola”, ma delle sue parole storiche precise, che possiamo trovare nei Vangeli di Giovanni e di Luca e che ritroviamo, con qualche commento autorevole, nel Vangelo di Matteo e in quello di Marco.

Finalmente quel giorno, dopo migliaia e migliaia di anni di storia umana, Gesù prometteva che la sua carne avrebbe salvato la “carne” umana. San Paolo parla della “carne” come di tutto ciò che è impegno umano, accolto nell’Antica Alleanza di Dio con il suo popolo, nella Legge ebraica.

Tutti i pensieri umani che cercano di salvare la vita, ma non ci riescono veramente, sarebbero ora stati salvati dalla carne e dal sangue del Cristo Re. Il suo Spirito avrebbe finalmente salvato la “carne”, che non giova a nulla.

Prima l’insegnamento di Gesù, molto concreto (Gesù, il Cristo, note a Lc 6,17-49), e, ora, «il pane che discende dal cielo», «tale che chi ne mangia non muoia nemmeno» (Gv 6,50).

Al versetto 54 leggiamo:

«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha [la] vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Nel testo greco, che ha gli articoli, non c’è l’articolo “la” (vita eterna). Gesù non promette una vita eterna completamente diversa e staccata da questa vita terrena, ma la continuazione eterna della vita.

Il Cristo Re non promette una vita diversa dalla vita che conosciamo, ma, mentre noi siamo sicuri che questa vita finisce, al contrario egli ci garantisce che essa non finisce.

È trasformata senza discontinuità, perché egli ci ha reso sicuri che lo spirito (l’io, l’anima) non muore ma rimane sempre nelle mani del Padre e di lui stesso.

Non solo: egli risusciterà ogni cosa nell’ultimo giorno, risusciterà tutta la nostra persona, in una realtà rinnovata.

 

Ospite

 

«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane ospite in me e io in lui» (Gv 6,56).

Come Gesù vive in chi “mangia…”?

Non in modo inquietante, ma come ospite, per opera dello Spirito Santo che è più intimo del nostro più intimo.

Gesù, il Cristo Re, sarà ospite di ogni persona che mangerà la sua carne e berrà il suo sangue. Questo avverrà per il potere trasmesso nella Chiesa.

Non è certamente la comunità scientifica a dover stabilire il valore di queste cose: se Gesù avesse aspettato che i sapienti di allora capissero, non ci sarebbe il Cristianesimo. Gesù, attraverso la Chiesa indipendente dai sapienti, ci rende liberi di rapportarci direttamente con lui.

Uno scientismo malinconico, anzi triste, e datato, che supporta un ateismo di ugual valore, rimuove i fatti riguardanti Gesù Cristo perché mostrano qualcosa di normalmente invisibile.

Ma le opere del Cristo, che sono state viste ripetutamente, testimoniate e certificate, sono anche scientifiche; hanno interessato tutte le leggi naturali, pur non coinvolgendole continuamente allo stesso modo.

 

 


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