San   Paolo
             l'Apostolo delle Genti, fedele a Gesù   Cristo
              
            S’intende   qui affiancare agli avvenimenti accaduti tra il 34 e il 70, secondo la   cronologia tradizionale, quali risultano dalla “Storia dei Vangeli”, quelli desumibili dalla biografia di san   Paolo storicamente accertata, in particolare da Marta Sordi, che è stata docente di Storia   romana e greca presso l’Università Cattolica di Milano ed è scomparsa il 5 aprile del 2009.
            Contemporaneamente   si mostreranno le correzioni cronologiche necessarie a ristabilire la continuità   dei fatti storici, risolvendo pure quei problemi di storia della Chiesa e di   storia romana che sembrano un vero enigma.
            Gli   eventi della vita di san Paolo lumeggiano in modo particolare la simpatia del   mondo romano per il Cristianesimo nascente prima della svolta Neroniana, si   pongono in continuità con l’opera di Teofilo presso Tiberio, spiegano la   diffusione del Cristianesimo a Roma e poi in tutto l’Impero a partire dalle case   romane (le chiese domestiche) tramite la conversione del paterfamilias o della   domina con neutralità benevola del paterfamilias.
            Ancora   oggi, come nell’antica Roma imperiale, la fede del paterfamilias e/o della   domina (la moglie/madre) distinguono le famiglie cristiane da quelle non   cristiane, con ripercussioni incalcolabili sui figli.
             
            1 - La vita e   la missione di San Paolo
             
            Nacque a   Tarso, in Cilicia. Gli fu posto nome Saulo, che si dice Saulos in greco, Saul in   ebraico, come il primo re di Israele. Ma il suo nome «era anche Paolo», dal   latino, come è ricordato in At 13,9, ed egli cominciò a usarlo quando incontrò   il proconsole Sergio Paolo a Cipro.
            La sua   famiglia era della più rigorosa setta dei farisei.
            Ma   possedeva anche la cittadinanza romana, ciò che appare insolito per i farisei,   fortemente insofferenti alla dominazione romana sulla Palestina.
            Si   suppone che sia nato nell’8 d.C., perché era detto “giovane” nel 34, quando era   presente alla lapidazione di Stefano.
            Saulo   crebbe a Gerusalemme e frequentò la scuola del sacerdote Gamaliele (At 22,3;   5,34), probabilmente fino alla scuola superiore, come era normale per i   farisei.
            Quindi lo   incontriamo al momento in cui avviene il martirio del diacono Stefano,   facilmente riconducibile all'anno 34. Luca riferisce tutti i particolari di   questo fatto, perché era presente a Gerusalemme già durante la vita pubblica di   Gesù. Nella città lavorava come medico del Tempio e contribuì attivamente alla   missione del Signore.
            Si deve qui   introdurre una nota cronologica.
            Dall'1 al 34 d.C.   il conto degli anni, che ci è stato tramandato dagli storici romani, fila   liscio, ma dal 34 al 40 occorre inserire 3 anni in   più andati "persi" durante il regno di Tiberio, come ci conferma proprio   San Paolo nella lettera ai Galati (1,18; 2,1).
            I fatti riguardanti   gli inizi della Chiesa si svolgono giusto a cavallo di questa lacuna   cronologica.
            Ad esempio, grazie   alla correzione della cronologia tradizionale, reintegrando i 3 anni "persi" da   Tiberio, è possibile la conciliazione di alcuni dati cronologici riguardanti la   vita di san Pietro. La tradizione vanta un settennato di Pietro in Antiochia e   pone l’inizio di questo al quarto anno dai fatti della Passione. Ciò significa   che il settennio ha inizio dal 37, ritenendo correttamente i fatti della   Passione avvenuti nel 33; senza la correzione ciò appariva problematico perché,   sempre secondo la tradizione, nel 42 Pietro era già a Roma. Se però collochiamo   l’andata di Pietro a Roma nel 45 (42), i dati della tradizione potrebbero bene   inserirsi in questo quadro cronologico. In seguito Pietro tornò a Gerusalemme e   subì nel 47 (44) la persecuzione di Erode Agrippa, venendo arrestato, poi   miracolosamente liberato, sicché poté tornare a Roma nel medesimo   anno.
            È dunque necessario spostare avanti di 3 anni   tutti gli avvenimenti, non astronomici, compresi tra il 37 e il 238.
            Le date sono di una   certa qual importanza per stabilire su base logica la probabile verità di un   avvenimento, o la improbabilità dello stesso, nel suo riferimento   temporale.
            D'ora in poi useremo questa datazione e metteremo tra   parentesi quella tradizionale.
            La   cronologia riguardante san Paolo si ricava a partire dall'anno in cui Gallione   era proconsole in Grecia (Acaia).
            Durante gli scavi archeologici   al Tempio di Apollo a Delfi, nel 1892-1903, furono trovati alcuni frammenti di   un'iscrizione su pietra.
            Vi si può leggere   che l'imperatore Claudio, nella sua 26ª proclamazione imperiale, prende   provvedimenti in favore di Delfi, dopo essere stato informato dall'amico   proconsole Gallione del degrado in cui versa la città.
            La 26ª   proclamazione imperiale di Claudio avvenne nella prima metà dell'anno 55 (52)   (lo si ricava dal confronto tra un’iscrizione rinvenuta nella Caria, esaminata   in Bull. Corr. Hell. 11,1887, pp. 306-308, un’iscrizione latina   sull’acquedotto dell’Acqua Claudia alla Porta Maggiore di Roma e  una notizia   di Frontino nel De acquaeductu urbis Romae, 13 ss.). Si può ben ritenere   che Gallione fosse all'inizio del suo mandato proconsolare e intendesse   provvedere personalmente a ridare gloria al tempio di Apollo di   Delfi.
            La carica   proconsolare durava un anno, da primavera a primavera, per cui è ragionevole   dedurre che Gallione l'abbia rivestita nel 55-56 (52-53).
            Quindi ebbe a   difendere Paolo dalla gente di Corinto nell'anno 55 (52). 
            Paolo era a Corinto   da un anno e mezzo e prima aveva percorso varie città fino in Macedonia, per cui   il Concilio di Gerusalemme risale al 52 (49).
            Infatti Paolo si   era incontrato con gli apostoli a Gerusalemme, per il primo Concilio. Al momento   di quell'incontro erano passati, come leggiamo nella lettera ai Galati, 3 + 14   anni dalla sua conversione. È arduo includere i 3 anni nei 14, mentre i conti   tornano se aggiungiamo proprio quei 3 anni che Tiberio ha "perduto".
            Se   torniamo indietro di 17 anni a partire dal 52 (49), troviamo che l'anno della   conversione di Saulo è stato realmente il 35 d.C., appena due anni dopo   l'ascensione di Gesù Cristo al cielo.
            La   conversione avvenne mentre il giovane si recava a Damasco per individuare i   cristiani della città, denunciarli e farli imprigionare. Gesù parlò a Saulo in   una luce che lo rese cieco per tre giorni, finché a Damasco incontrò un   discepolo di nome Anania, dal quale ricevette il battesimo.
            Rimase là   alcuni giorni insieme ai discepoli della città (At 9,19). Poi si dedicò a   predicare nelle sinagoghe dei dintorni. Nella lettera ai Galati dice «in Arabia»   (= territorio a sud di Damasco, regno dei Nabatei, con capitale Petra), senza precisare il motivo, i luoghi, il tempo trascorso e i risultati.
            In   seguito tornò a Damasco, dove i Giudei fecero in complotto per sopprimerlo.   Anche le guardie del governatore di Areta, re di Petra, vigilavano in favore dei   Giudei. Ma i discepoli lo calarono dalle mura della città in una cesta ed egli   andò a Gerusalemme, «dopo tre anni» dalla conversione, cioè nel 38 (35), «per   consultare Cefa (Pietro)» (Gal 1,18).
            Che la fuga da   Damasco sia avvenuta intorno a questa data è reso plausibile dal riferimento al   re Areta di 2 Cor 11,32-34. Questo personaggio sarebbe il nabateo Areta IV, che   poté esercitare un controllo, almeno parziale, della città damascena, peraltro   inglobata nella provincia romana di Siria, solo per il periodo precedente la   morte di Tiberio, cioè prima del 40 (37).
            Areta aveva vinto   una battaglia contro Erode Antipa e aveva occupato la regione. La battaglia si   era svolta dopo la morte di Giovanni Battista (32 d.C.), dopo la morte di   Filippo, nel 33 d.C., ma anche, sicuramente, dopo il primo intervento di   Vitellio nel 36 e prima che Vitellio insediasse Teofilo come sommo sacerdote a   Gerusalemme, nel 40 (37), quando morì Tiberio (G. Flavio, Antichità   Giudaiche, XVIII,106-124). Areta IV regnò dall'8 a.C al 43 (40)   d.C.
            A   Gerusalemme i cristiani lo accolsero inizialmente con sospetto, sapendo  che era stato un loro persecutore (At 9,26-30).
            Il cugino Barnaba, che era ebreo e cristiano, si fece garante per lui e, da quel momento, divenne suo collaboratore. Così Saulo poté predicare nelle sinagoghe della città santa.
            Ma a un certo punto i Giudei volevano ucciderlo e i discepoli lo fecero partire per   Tarso.
            Nella sua patria rimase dal 38 (35) al 46 (43) dedicandosi però, presumubilmente, alla predicazione nei dintorni, in Siria e Cilicia (Gal 1,21).
            
            Intanto i   discepoli fuggiti da Gerusalemme, per la persecuzione iniziata con il martirio   di Stefano, diedero origine a una vivace comunità ad Antiochia di Siria. Qui per   la prima volta furono detti «cristiani». La tradizione cristiana ha conservato memoria di una grotta, detta di San Pietro, nella quale si sarebbe riunita questa Chiesa.
            Anche Barnaba era stato inviato dalla Chiesa di Gerusalemme ad Antiochia di Siria.  In Atti 11,25-26 va a cercare Saulo nella vicina Tarso per farne un suo collaboratore e lo conduce ad Antiochia, che è la principale metropoli del medio-oriente. Qui Paolo rimane per alcuni anni.
            Dopo "un anno intero", Paolo e Barnaba si recarono a Gerusalemme (At 11,27-30; 12,21-25). Occasione del viaggio fu una colletta della chiesa di Antiochia per la chiesa di Gerusalemme in vista di una carestia che era stata predetta da un cristiano di nome Agabo. Dopo aver portato le offerte della colletta tornarono ad Antiochia conducendo con loro Marco e Luca, che in questa parte del suo libro non nomina se stesso.
            Ritornarono ad Antiochia dopo la morte di Erode Agrippa I, avvenuta nel 47 (44).  Autori extra-cristiani ricordano la prolungata carestia in Palestina in quel periodo. 
             
            Prima missione - anni 48-52 (45-49)
             
            Era   l'anno 48 (45); Saulo e Barnaba, con Marco e Luca, partirono da Antiochia per la   prima missione.
            Notiamo subito che, se leggiamo le Lettere di san Paolo   tenendo presente il quadro storico, comprendiamo meglio anche alcuni aspetti dei Vangeli, perché   l'Apostolo delle Genti si riferiva costantemente «a ciò che è scritto» (1 Cor 4,6). 
            Predicava il   Vangelo che aveva ricevuto per rivelazione da Gesù stesso, ma lo rendeva più   preciso consultando ciò che avevano scritto Luca e gli altri   evangelisti.
            Applicava i   Vangeli, già scritti, alle situazioni concrete.
            Si   fermarono a Cipro, dove era proconsole Sergio Paolo, che si convertì a Gesù   Cristo. Da questo momento Saulo, il cui nome «era anche Paolo» iniziò a usare il   secondo nome, di origine latina. Poi i missionari passarono attraverso   Antiochia di Pisidia, Iconio,  Listra e Derbe in Licaonia. Quindi tornarono ad   Antiochia di Siria.
            Paolo, 17   anni dopo la sua conversione, Barnaba e gli apostoli si ritrovarono a   Gerusalemme per il primo Concilio Ecumenico, nell'anno 52 (49). Qui fu deciso di   non imporre ai Gentili convertiti l'intera Legge di Mosè.
             
            Seconda missione - anni 52-55 (49-52)
             
            Da questo   momento iniziò il secondo viaggio missionario di Paolo, nelle comunità già   presenti a Derbe e Listra. Lo Spirito Santo impedì  ai missionari di andare   nella provincia dell'Asia minore e in Bitinia, per cui scesero a Troade, poi   passarono in Macedonia, a Tessalonica e Berea, ad Atene e infine a Corinto. Qui   Paolo rimase un anno e mezzo e trovò il proconsole Giunio Gallione che lo difese   da un tumulto causato dai Giudei. Era l'anno 55 (52).
            È questo il periodo   in cui Paolo detta le due Lettere ai Tessalonicesi, dopo essere   stato impedito da satana di tornare a Tessalonica e dallo Spirito Santo di   predicare nelle località in cui si trovavano le sette Chiese   dell'Apocalisse.
            Nella prima lettera   raccomanda che la si legga a tutti i fratelli, ossia a tutte le Chiese; nella   seconda dice che autenticherà ogni lettera con i saluti e la sua calligrafia   nello scriverli. Dobbiamo ricordare   che quasi mai egli scriveva le lettere «di suo pugno» e ciò ha dato   ingiustamente adito al sospetto che alcune di esse non siano   autentiche.
            Queste due lettere   preludono all'Apocalisse, profezia fondata sulla rivelazione di Gesù Cristo che   si conclude con l'attesa del suo ritorno, all'improvviso come un ladro per chi   non veglia e non lo attende. Ecco che cosa significa «Vieni, Signore Gesù» (Ap   22,20). Con i Tessalonicesi i missionari ne avevano ragionato, concludendo che   non sarebbe stato un ritorno imminente, e l'Apocalisse elenca tutto ciò che il   Figlio di Dio aveva profetizzato. Nell'Apocalisse, cap. 8, versetti 10-11, leggiamo: "E il terzo angelo suonò: cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia e cadde su un terzo dei fiumi e sulle sorgenti delle acque;   il nome della stella si pronuncia: l'Assenzio;  un terzo delle acque è diventato come assenzio; molti degli uomini sono morti a causa delle acque, perché sono divenute amare". Le diverse immagini si possono interpretare in questo modo: "Uscì dalla Gerusalemme santa un grande predicatore,  Paolo, ardente di Spirito Santo come una torcia, e percorse un terzo delle  regioni interne e lontane dal Mare; il nome del predicatore si pronuncia:  l’Apsinto, che ha il doppio significato di Assenzio e di Trace, perché Paolo si  è spinto a evangelizzare fino alla Tracia; un terzo delle popolazioni delle  regioni interne è diventato come assenzio; molti degli uomini ebrei di quei  luoghi hanno creduto nel Cristo a causa di quelli che hanno ascoltato Paolo,  conquistati dalla sua dottrina".
            In 2 Ts 2,7   conosciamo l'opera svolta da Teofilo.
            Potrebbe risalire alla permanenza di Paolo a Corinto anche la Lettera agli Ebrei, non scritta direttamente da lui, ma forse da Apollo, giudeo di Alessandria collaboratore dell'Apostolo. In essa è celebrato Gesù, l'unico sommo ed eterno sacerdote della Nuova Alleanza. Il   sacerdote che ben ci comprende, per aver patito sulla croce.
            Se leggiamo anche questa lettera in relazione alle due   Lettere ai Tessalonicesi e all'Apocalisse, la scopriamo molto concreta, anzi gli   insegnamenti, che ci appaiono a prima vista sublimi, si rivelano molto utili   anche nell'apostolato di oggi.
            Poteva essere indirizzata a più comunità di Ebrei, come   quella di Gerusalemme, quelle dell'Asia minore (Ap 2,10: alcuni Ebrei cristiani   messi in prigione a Smirne), di Antiochia. In Eb 13,7.17 sono nominati «i vostri   capi», più di uno come le comunità. Ecco perché mancherebbe un indirizzo   preciso.
            Appena arrivato nella città di Corinto, Paolo aveva   incontrato alcuni Ebrei (Aquila e Priscilla) venuti dall'Italia in   seguito all'ordine di espulsione di Claudio (At 18,2; Eb 13,24). Quando   successivamente partì da Corinto, passò a salutare diverse comunità, compresa   quella di Gerusalemme, prima di tornare ad Antiochia (At 18,5.22; Eb   13,23).
            Dopo ciò   si imbarcò verso Antiochia ma fece sosta a Efeso. In tutti questi viaggi c'era   anche Luca. Nel viaggio per mare tra Efeso e Cesarea si incontra l’isola di   Patmos e qui Luca si è probabilmente incontrato con Giovanni e gli ha suggerito   l'idea dell'Apocalisse.
             A questo   proposito, dobbiamo far notare che l'espressione "per rivelazione" (= δι’   αποκαλυψεως), usata da san Paolo per la prima volta nella lettera ai Galati, è   successiva a quest’incontro di Luca con Giovanni a Patmos.
            La troviamo in Rm   2,5; 8,19; 16,25; 1 Cor 14,6.26.30; Gal 1,12; 2,2; Ef 1,17; 3,3.
            L'Apocalisse di   Giovanni fu realizzata, poco dopo l'incontro a Patmos, da uno scriba di Gamla, città-fortezza che si stendeva sul   fianco meridionale di una collina rocciosa sul Golan, 8 chilometri a nord est   del Lago di Galilea.
            Notiamo che Matteo   conclude il suo Vangelo con la visita, che non è precisamente un'apparizione sul   luogo, di Gesù risorto ad alcuni che erano su un monte insieme agli Undici   (Mt 28,16-20). San Paolo   ricorda che Gesù apparve «a più di cinquecento fratelli insieme» (1 Cor 15,6),   che perciò dovevano già essere uniti da qualche motivo, prima di conoscere Gesù.   Infatti, nei quaranta giorni delle apparizioni, il gruppo stesso più vicino a Gesù   faceva fatica a trovarsi insieme. Il motivo che teneva uniti quei fratelli   poteva essere il fatto di appartenere a una città particolarmente unita e   isolata, quale appunto Gamla. Da qui erano partiti gli «uomini» che avrebbero   voluto «rapire» Gesù «per farlo re», dopo che aveva moltiplicato i pani e i   pesci (Gv 6,14-15).
            Poi, nei viaggi di   Paolo, si nota che in una delle Chiese dell'Apocalisse collegate a Gamla, quella   di Efeso, non era presente una comunità cristiana in città. Ma la comunità   "giovannea" di Efeso viveva probabilmente, come a Gamla, su una collina fuori   città. Ci sono notizie e dati archeologici che lo confermano.
             
            Terza missione - da aprile del 55 fino alla Pentecoste   del 58 (52-55)
             
            Per il   terzo viaggio missionario, Paolo andò a Efeso e poi attraversò le regioni   dell'altopiano, compresa la Galazia.
            Si inserisce in   questo contesto la Prima lettera ai Corinzi.
            1 Cor 4,6:   «...impariate a stare a ciò che è scritto (riguardo a Gesù   Cristo)...».
            a) Paolo   attribuisce importanza fondamentale allo scritto, rispetto alla sua predicazione   a voce.
            b) C'erano già   testimonianze scritte, i quattro Vangeli, giuridicamente più valide della   trasmissione a voce, sulla vita e l'opera di Gesù Cristo. Paolo trasmetteva ciò   che aveva ricevuto: era scritto e giuridicamente valido (1Cor 15,3).
            1 Cor 12,4-31: «Vi   sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito». I carismi sono   distribuiti dallo Spirito Santo nei battezzati (e cresimati) e basta fare   attenzione a quello che lo Spirito opera in ciascun fedele, perché anche oggi tutti, nella Chiesa,   possano riceverne beneficio.
            Quindi   tornò a Efeso. Qui rimase per almeno 2 anni e 3 mesi.
            Forse proprio a   Efeso gli giunse notizia che i "superapostoli" (che nell'Apocalisse sono   chiamati Nicolaiti, "che si dicono apostoli e non lo sono", "che appartengono   alla sinagoga di satana", il "drago", il "serpente antico") stavano predicando   anche nella Galazia un falso Vangelo, come avevano già fatto nelle Chiese   nominate nell'Apocalisse.
            Da qui la Lettera ai Galati. La giustificazione, ossia l'adesione al   Dio di Israele e Dio unico, avviene per tutti, Ebrei e Gentili, attraverso la   fede e non per le opere della Legge. Questo non significa che non occorrano le   opere della fede, ma che non sono necessarie la circoncisione e altre   osservanze, richieste da Mosè ma non contenute nella promessa fatta in   precedenza da Dio ad Abramo.
            In conrrispondenza di ciò, notiamo che anche nell'Apocalisse, dopo i centoquarantaquattro mila   segnati delle tribù di Israele, viene una folla immensa «di ogni nazione, tribù,   popolo e lingua» (Ap 7,9-10), che accolgono con palme il Regno di Dio e   dell'Agnello (Gv 12,13).
            Poi passò   in Macedonia.
            Durante questo soggiorno in Macedonia, pieno di   tribolazioni, inviò la Seconda Lettera ai Corinzi, preoccupato   com'era che i "superapostoli" non li facessero deviare dal Vangelo.
            In questa lettera (13,1) e in altre (1 Tm 5,19; Eb 10,28)   troviamo l'espressione «sulla parola di due o tre testimoni», che   incontriamo per la prima volta nel Vangelo secondo Matteo (18,16). Era   probabilmente una formula usata dagli Ebrei nelle questioni legali, ma   stabilisce anche un legame tra il Vangelo di Matteo e l'opera di San   Paolo.
            Infatti questo Vangelo è la Nuova Legge, sancita da Gesù   Cristo per gli Ebrei e per i Gentili, mentre Paolo, nelle sue lettere, mostra   più volte che è necessario superare la Legge antica
            È un segno che il Vangelo di Matteo era già diffuso   nell'impero romano.
            Tornò in   Grecia, dove trascorse più di 3 mesi.
            In una sosta durante il viaggio di ritorno dalla Grecia   venne scritta, per mano di Terzo, la Lettera ai Romani.
            Il fondamento di quanto è scritto nella lettera è ciò che leggiamo in Rm 1,3-4:   «riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, certificato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di   santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore».   Il tutto è di una concretezza rigidamente argomentata. Con questa attenzione si   dovrebbe rivedere la traduzione di alcuni passi, per poterne riscoprire il   valore pratico.
            - Predestinazione (Rm 8,29-30; Ef 1,11): non c'è   niente di fatalistico in questa dottrina. Semplicemente Paolo vuole ricordare   che dall'eternità anche i Gentili sono stati predestinati dal Dio di Israele   alla salvezza, perciò chi è fedele a Dio non deve ostacolare il suo disegno   eterno.
            Quindi   andò a Mileto, tornò a Efeso e da qui, per nave, arrivò insieme a Luca a Cesarea   e infine a Gerusalemme, all'incirca nei giorni della Pentecoste giudaica   dell'anno 58 (55).
            Qui i   Giudei, sapendo che Paolo aveva convertito molti Gentili, a Gesù Cristo e al Dio   di Israele, ma che non aveva loro imposto la Legge di Mosè, lo accusarono di   predicare contro il popolo ebreo, contro la Legge e contro il Tempio, anzi di   aver introdotto nel Tempio il pagano Trofimo di Efeso.
             
            L'arresto e l'appello a Cesare- anno 58 (55)
             
            La gente   lo prese e voleva ucciderlo, cosicché il tribuno della città, avvertito, lo fece   arrestare.
            Da   Gerusalemme fu inviato a Cesarea, a causa dei tumulti che si continuavano a   riaccendere contro di lui.
            Sembrerebbero state scritte durante questa prigionia la Lettera ai Colossesi e la Lettera agli Efesini (o ai Laodicesi).
            Ef 4,15: «Vivendo la verità nella carità».
            Paolo fu   quindi giudicato da Felice, procuratore di Giudea. Questi, terminati i due anni   del suo mandato, se ne andò e fu sostituito da Festo. Ma andandosene lasciò   Paolo in prigione.
            Felice   era stato inviato come procuratore della Giudea da Claudio, mentre stava   compiendosi il dodicesimo anno del suo regno (Giuseppe F., A.G.,   XX,137-138), ossia nell'anno 56 (53) e ora correva l'anno 58 (55).
            Festo   dunque giudicò di nuovo Paolo e lo fece anche il re Agrippa II, ma l'Apostolo   delle Genti si dichiarò cittadino romano e si appellò a Cesare, che era in quel   momento Nerone.
             
            A Roma- anni 59-61 o 62 (56-58 o 59)
             
            Fu allora   trasferito via mare a Roma. La nave partì nel tardo autunno del 58 (55) e, a   causa di una tempesta nelle acque di Creta, fece naufragio presso Malta. Si   salvarono tutti e il viaggio riprese tre mesi dopo, all'inizio della primavera   del 59 (56). Approdarono a Siracusa, poi a Reggio Calabria, a Pozzuoli e   giunsero a Roma accolti dai fratelli cristiani.
            A Roma fu   concesso a Paolo di abitare per conto proprio con un soldato di guardia.   Trascorse così due anni interi e poté accogliere tutti quelli che venivano a   lui.
            Nella Lettera ai Filippesi dice: «Desidero   che sappiate, fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio   del Vangelo, al punto che in tutto il pretorio e dovunque si sa che sono in   catene per Cristo» e il comandante dei pretoriani era Afranio Burro.
            Dobbiamo   annoverare tra i visitatori anche Lucio Anneo Seneca, che ha in seguito   intrattenuto con Paolo un carteggio in 12 lettere. L'epistolario ne comprende   14, ma due sono sicuramente false.
            Alcune di   queste lettere sono datate con i consoli suffecti e con i consoli ordinari del   61 (58) e del 62 (59).
             
            In Spagna? Infine il martirio- anni 62-70   (59-67)
             
            Negli   anni seguenti, fino al 70 (67) a cui si fa risalire il martirio per   decapitazione, Paolo può essere stato in Spagna (Rm 15,24.28) e forse anche in Dalmazia (Tt 3,12).
            Durante i viaggi successivi alla prima prigionia a Roma   Paolo scrisse la Prima Lettera a Timoteo.
            1 Tm 2,5: Gesù Cristo unico mediatore tra Dio e gli   uomini. L'uomo Gesù è l'unico che ha storicamente e concretamente messo in   comunicazione il mondo degli uomini con Dio Creatore e con il Cielo. Ciò non   riguarda precisamente la preghiera, perché Dio accetta l'intercessione di tutti   i suoi amici, compresi i nostri defunti.
            Successivamente scrisse la Lettera a   Tito.
            Tt 3,12: «Quando ti avrò mandato Àrtema o Tìchico, cerca di venire subito da me a   Nicòpoli, perché ho deciso di passare l'inverno colà».  San Paolo fissa l'appuntamento per l'inverno a Nicopoli, che sembra identificarsi con una città dell'Epiro, l'odierna Albania. La città potrebbe essere stata chiamata così  per celebrare la vittoria di Azio; in realtà molte città antiche portavano quel nome, celebrativo di una vittoria, ma in zone così differenti, che quella dell'Epiro sembra la più logica. Questo attesterebbe l'apostolato di san Paolo in Dalmazia, insieme aTito.
            Intanto   Nerone aveva fatto uccidere la madre Agrippina nel 62 (59) e Afranio Burro nel   65 (62).
            Quindi   aveva  iniziato a perseguitare i cristiani nell'anno 67 (64), dopo un incendio   di Roma che gli storici latini attribuiscono alla volontà dell'imperatore   stesso. 
            Anche   Seneca, nel 68 (65), fu costretto a togliersi la vita.
            Paolo, prigioniero a Roma per la seconda volta, scrisse la Lettera a Filemone.
            Appena precedente il martirio di san Paolo, nel 70 (67),   sarebbe la Seconda Lettera a Timoteo, in cui egli dice: «Quanto a   me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di   sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa,   ho conservato la fede. Solo Luca è con me» (2 Tm 4,6-7.11).
            In quest'ultima lettera, (2 Tm 4,13) Paolo chiede a  Timoteo di portargli «i rotoli e soprattutto le "membrànai"». Di che testi si trattava? Non certo dell'Antico Testamento, che Paolo poteva trovare in ogni sinagoga, ma dei Vangeli, già scritti ma non tutti pubblicati, e di sue annotazioni personali.
            Secondo la tradizione cristiana Paolo morì durante la persecuzione di Nerone, decapitato presso le Aquæ Salviæ.
            San Girolamo, verso fine IV secolo, precisa che fu decapitato a Roma e fu sepolto lungo la via Ostiense nel 37° anno dopo la passione, nel 14º anno di Nerone, due anni dopo la morte di Seneca.
            Il 37° anno dopo la passione di Gesù Cristo è da situare nel 70 d.C., mentre il 14° anno di Nerone (considerandolo non intero) dovrebbe essere, secondo il calcolo tradizionale, il 67 d.C. Questo è un ulteriore indizio che conferma la cronologia sopra esposta.
            Alle Aquæ Salviæ, in seguito fu edificata l'Abbazia delle Tre Fontane, mentre sul luogo del sepolcro è stata costruita la Basilica di San Paolo fuori le mura. Per secoli il sepolcro era stato rimasto nascosto sotto al pavimento della basilica. Lavori archeologici svolti tra il 2002 e il 2006 sotto la guida di Giorgio Filippi lo hanno riportato alla luce.
            Il 29 giugno 2009, nella cerimonia ecumenica conclusiva dell'anno paolino, papa Benedetto XVI ha annunciato i risultati della prima ricognizione canonica effettuata all'interno del sarcofago di San Paolo. In particolare, il sommo pontefice ha riferito che «Nel sarcofago, che non è mai stato aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per produrre una speciale sonda mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato di oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. È stata anche rilevata la presenza di grani di incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree. ...Piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all'esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l'unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell'apostolo Paolo. Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione».
             
            2 - L'impedimento di   Nerone
             
            Dio diede   a Nerone la facoltà di di mettere in subbuglio la nazione ebraica, sconvolgendo   l'ordine sociale e l'aspetto stesso della Palestina, e di mettere in contrasto   insanabile Ebrei e Cristiani. Gli permise infatti di perseguitare i cristiani e   di mettere in disparte Teofilo.
            Gli   permise, con questo, di far perdere quasi del tutto le tracce dell'origine dei   Vangeli e dell'Apocalisse, con la conseguenza che il loro stesso significato   risultasse sconvolto.
            Dobbiamo   anche notare che l'Islam nacque, cinque secoli e mezzo dopo, in seguito a questo contrasto tra Ebrei e   Cristiani e per la presenza di eresie che laceravano la cristianità. In pratica   questa religione ha occupato le lacune lasciate da Ebrei e Cristiani nel   panorama del Regno di Dio.
            Nei   nostri tempi Maria, con le apparizioni il giorno 13 di sei mesi nel 1917, in   particolare l'ultima del 13 ottobre, anniversario dell'inizio dell'impero di Nerone, ci    indica la soluzione per i contrasti.
            È ora di   superare l'impedimento, causato da Nerone e permesso dalla Provvidenza, al Regno   di Dio nel mondo.
            Il Regno   di Dio e la Chiesa, che lo rappresenta nel mondo, si distinguono decisamente dai   regni del mondo. Ma l'odio o l'indifferenza verso la Chiesa non è un aspetto   necessario. All'inizio i discepoli di Gesù «godevano la simpatia di tutto il   popolo» (Ap 2,47) e i contrasti sono nati soprattutto sotto Nerone e durano   tutt'ora allo stesso modo.
             
            3 - Paolo,   Luca, Matteo
             
            È però   opportuno notare la criticità di una concezione che vede san Paolo erede del   Vangelo di Luca, come qui sosteniamo, mentre tradizionalmente si sostiene la   derivazione del vangelo di Luca da san Paolo.
            La posta   in gioco è grande.
            Noi   sosteniamo che il Vangelo di Luca riporta le parole autentiche di Gesù, e da   queste san Paolo deduce il superamento della Legge mosaica, mentre l’attuale   Vangelo di Matteo è un rifacimento delle parole di Gesù, una variatio, a scopo   editoriale, anche se tendenzialmente favorevole a un cristianesimo   giudaizzante.
            Da parte   di alcuni si sostiene invece che l’attuale vangelo di Matteo è quello   originario, mentre quello di Luca sarebbe una versione filo-romana, priva cioè   degli elementi filo-giudaici, dovuta all’influenza di san Paolo. Questi, di   iniziativa sua, anche se appoggiata a rivelazioni, avrebbe predicato un   cristianesimo filo-romano avulso dalla sua origine giudaica, in opposizione agli   apostoli, che, fedeli alle origini giudaiche, sarebbero stati antiromani.
            Non ci   sfugge dunque che una corretta ricostruzione della vicenda di san Paolo non può   non avere ripercussioni sulla validità della tesi sulla derivazione del Vangelo   di Luca da quello originario di Matteo, in aramaico, e che, se noi riusciamo a   dimostrare che gli oppositori di san Paolo (il quale, per noi, si basa sul   vangelo di Luca) non sono i giudeo-cristiani (i quali, secondo alcuni, si basano   sul vangelo di Matteo) ma gli ebrei che non hanno accettato Gesù Cristo, la   potenziale antitesi Luca - Matteo, che viene spesso usata per scardinare il   Vangelo, non avrebbe più senso.
            Ragioniamo   un momento sui dati a nostra disposizione.
            Il   Prologo antimarcionita, (sec. II-III) dice: «Luca, un siro di Antiochia, di   professione medico, discepolo degli apostoli, più tardi segui Paolo fino alla   morte. Servì senza biasimo il Signore, non prese moglie né ebbe figli. Mori   all'età di 84 anni in Beozia pieno di Spirito Santo. Essendo già stati scritti i   Vangeli di Matteo in Giudea e di Marco in Italia, mosso allo Spirito Santo   scrisse questo Vangelo nelle regioni dell'Acaia... ». In realtà si tratta della   pubblicazione dei Vangeli, in particolare del Vangelo di Luca, rimasto fino a   quel tempo in mano a lui e a Teofilo (nominato in una lettera dell'epistolario Seneca -   Paolo), in attesa di un'eventuale possibilità di ripresentare in Senato una   legge che riconoscesse Gesù Cristo come un dio, così che fosse lecito venerarlo   nell'impero romano.
            Sosteniamo   che il Vangelo di Luca riporta le parole che Gesù ha detto e le azioni che Gesù   ha fatto, quali risultavano dalla cronaca aramaica di Matteo e da informazioni   acquisite da lui stesso. Sono i "rifacitori" di Matteo, che semmai hanno   introdotto nell’attuale Vangelo di Matteo gli elementi tipicamente filo-giudaici   che non erano nella parole di Gesù.
            Che   bisogno c'è di immaginare un intervento miracoloso per rendere possibile che   Paolo suggerisse a Luca i particolari della vita del Signore, quando possiamo   stabilire che Luca era presente a   Gerusalemme durante i fatti ed è stato testimone di gran parte di essi? E in seguito,   negli Atti degli Apostoli scrive solo avvenimenti che ha potuto seguire   direttamente o da vicino.
            San   Paolo, rifacendosi al vangelo di Luca e alle sue visioni, conferma che la   missione autentica di Gesù comprende l’offerta della salvezza anche ai pagani   (non più mediante la circoncisione, ma mediante il battesimo), e quindi il   superamento della Legge mosaica. Non è quindi san Paolo che altera   l’insegnamento di Gesù, ma possono essere stati i "rifacitori" di Matteo a non   essere stati compresi, in quanto possono aver suggerito agli ebrei, destinatari   del Vangelo di Matteo, o meglio, alla parte di essi di tendenza antiromana,   l’idea che il superamento della legge mosaica fosse un’invenzione di san Paolo   per conciliarsi le simpatie dei Romani, e non un elemento essenziale del   messaggio di Gesù.
            Concretamente   san Paolo deve all'evangelista Luca la grandezza della sua missione, per il   fatto di essere sempre stato fedele a Gesù Cristo storico.
             
            Nei   Vangeli ci sono sempre le autentiche parole di Gesù, ma non   necessariamente tutte. Lo ammette anche Giovanni nelle due conclusioni del   Vangelo che porta il suo nome: "Molti altri segni fece   Gesù di fronte ai suoi discepoli, ma non sono scritti in questo libro" e:   "Vi sono ancora molte altre cose che Gesù ha compiuto".
            E non si esclude che esistano altri insegnamenti di Gesù risorto dati   "per apocalisse (= δι’ αποκαλυψεως)" come e avvenuto per san Paolo.
            Del resto proprio gli apostoli che avevano conosciuto Gesù "secondo la   carne" hanno autenticato l’insegnamento di Paolo, che non aveva conosciuto Gesù   nel loro stesso modo, ma ciononostante lo hanno considerato   equivalente.
            Che taluni discepoli degli apostoli, senza loro mandato, possano aver   contestato a Paolo il titolo di apostolo, in nome di una arbitraria restrizione   di questa qualifica a quelli che avevano seguito Gesù nella vita terrena, si   evince da alcuni passi delle Lettere. Ma non prova nulla circa una possibile   antitesi tra gli apostoli e Paolo. Anzi, autentici apostoli sono anche i   cinquecento e più fratelli ai quali è apparso il Risorto, senza che da questa   "investitura" siano nati problemi, a quanto sembra, con il gruppo dei   Dodici.
            Se Gesù è Dio, non è illogico pensare che possa aver continuato il suo   insegnamento, per mezzo dello Spirito Santo, anche dopo morto. Il che appare francamente inconcepibile, se Gesù   fosse stato un rivoluzionario zelota, giustiziato per attività sovversiva   antiromana.
             
            4 - Pietro e   Paolo
             
            Abbiamo   segnalato la possibile collocazione del settennato di Pietro ad Antiochia tra il   37 (35) e il 44 (41), con la conseguenza che l’andata a Roma nel 45 (42) sia stata una   breve parentesi dopo questo settennato, sebbene sia importante perché vi fondò   la comunità romana, e non abbia relazione con la persecuzione di Erode Agrippa del   47 (44), seguita dalla seconda andata a Roma, probabilmente definitiva anche se   intercalata da viaggi come quello a Gerusalemme per il Concilio.
            1) la data indicata da Eusebio (42 d.C., 45 secondo il   computo corretto) potrebbe corrispondere alla data indicata dagli Atti degli   Apostoli (12,17) in cui Pietro, liberato dalla prigionia di Erode Agrippa I, "se   ne andò in un altro luogo", in quanto gli Atti non forniscono riferimenti per i   pochi avvenimenti raccontati relativamente a questo periodo.
            2) Agrippa fu re della Giudea dal 44 (41) al 47   (44).
            3) All'anno 45/46 (42/43) risale anche la conversione a una   "superstitio externa", che è sicuramente il Cristianesimo, di una donna di   famiglia senatoria, Pomponia Grecina (Tacito, Ann. XIII, 32).
            4) In seguito a questo primo viaggio a Roma, ricordiamo   però che Pietro chiese a Marco di scrivere quello che aveva cominciato a   raccontare senza una traccia scritta. Così dovettero tornare a Gerusalemme   ambedue, Marco per poter rileggere gli altri tre Vangeli, Pietro   per fornire all'evangelista le proprie testimonianze sui fatti.
            5) È inoltre improbabile che Pietro, se fosse stato    imprigionato da Agrippa nel 45 (42), sia tornato a Gerusalemme di nuovo mentre   Agrippa era vivo.
            6) Si deve perciò ritenere che Pietro si sia recato a Roma   una prima volta, non testimoniata dagli Atti, nel 45 (42) e una seconda volta   nel 47 (44) (At 12,17).
            7) Il martirio di Pietro avvenne il 13 ottobre del 67 (64),   secondo la ricostruzione dell'archeologa Margherita Guarducci.
            Riteniamo   fondamentale l’esatta cronologia dei soggiorni di Pietro a Gerusalemme (4 anni),   ad Antiochia (7 anni) e a Roma (20 anni) per le implicazione sull’esercizio del   Primato e sulla collocazione della Sede apostolica contro i sostenitori di un   cristianesimo primitivo senza Primato e senza Sede, ma irrimediabilmente diviso   tra giacobiti, giovannei, petrini e paolini.
            Sorprende che nel Nuovo Testamento non venga mai fatto   accenno alla presenza di Pietro a Roma e che questa notizia ci pervenga solo da   scritti successivi.
            Nella Prima lettera di Pietro (5,13) troviamo un enigmatico   accenno: «Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in   Babilonia; e anche Marco, mio figlio».
            Non sembra, però, che Pietro avesse bisogno di nascondere   Roma sotto il simbolo "Babilonia", perché per 35 anni i Romani si mantennero favorevoli al Cristianesimo.
            È più probabile che questi saluti da Babilonia, la città   orientale dove risiedeva da secoli una comunità ebraica, e da Marco, che era   vicino a Pietro, siano stati raccomandati a Pietro separatamente l'uno   dall'altro, mentre si trovava, ad esempio, a Gerusalemme per il primo Concilio   Ecumenico, e che egli li abbia trasmessi simultaneamente «ai fedeli dispersi nel   Ponto, nella Galazia, nella Cappadòcia, nell'Asia e nella Bitinia» (1Pt 1,1)   «per mezzo di Silvano» (5,12) collaboratore di Paolo.
            Babilonia non era un simbolo, altrimenti lo doveva essere   di Gerusalemme, come risulta   dall'Apocalisse.
            Si può invece notare che Pietro e Paolo si scambiavano   liberamente i collaboratori, perciò erano costantemente in contatto tra loro,   anche se non lo dicono.
            È bene inoltre ricordare che San Paolo era continuamente   attento all'opera di tutti gli Apostoli. Si informava pure di quello che   andavano compiendo i «più di cinquecento fratelli» (1 Cor 15,3) di   Gamla.
            Se non lo teniamo sempre presente, comprendiamo poco   l'opera di Paolo stesso.
            Può   essere utile far notare che nella prima comunità romana fondata da Pietro non   sembra ci siano stati conflitti sulla circoncisione e sulla reciproca   frequentazione tra convertiti dal giudaismo e convertiti dal paganesimo, i quali   si riunivano in case di privati (Rm, 16) e rimanevano estranei alla vita della   comunità giudaica.
            Un   documento del IV secolo precisa che i Romani «susceperunt fidem Christi, ritu   licet iudaico».
            Ciò   ricorda che anche a Roma, all’inizio, la fedeltà a Cristo e alla legge ebraica   non erano in conflitto e che non fu certo Paolo, al suo arrivo, a provocare il   conflitto, in quanto egli si attenne fedelmente alle parole del Signore risorto: «Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu   mi renda testimonianza anche a Roma» (At 23, 11).
             
            5 - Ragionamenti sul ritorno di   Gesù
             
            Gesù   Cristo, nei giorni precedenti la sua passione e morte, pronunciò la profezia   sulla distruzione del Tempio, sulla fine di Gerusalemme e sul Regno di Dio, con   frasi apocalittiche (Lc 21,5-36). Nelle apparizioni dopo la risurrezione parlò   ancora «delle cose del Regno di Dio» (At 1,3) e si può ritenere che abbia   continuato a usare espressioni apocalittiche.
            I   discepoli cercarono di interpretarle. Per noi è inevitabile confrontare i   diversi testi del Nuovo Testamento per capire a quali conclusioni si era   pervenuti nella Chiesa. Erano conclusioni piuttosto concrete, fondate su simboli   che Gesù aveva usato.
            Che cosa   si doveva attendere, presto?
            Sotto   l'imperatore successore di Claudio, storicamente Nerone, messo in disparte   Teofilo, ci sarebbe stata una grande sofferenza per gli Ebrei, per mettere alla   prova tutto il mondo.
            Sarebbe   stata distrutta Gerusalemme, per cui Roma non avrebbe più potuto servirsene per   pervertire la vita sociale degli Ebrei.
            Le Genti   avrebbero visto Gesù Cristo tornare sulle nubi del cielo, dopo lo sconvolgimento   del "sole", della "luna" e delle "stelle", per regnare mille anni nel mondo.
            Gli   eletti di Cristo, già morti con lui (prima morte), avrebbero   partecipato a una prima risurrezione (reale, ma soltanto per gli eletti   fedeli a Cristo) per regnare con lui mille anni.
            In tale periodo il   "diavolo", che corrisponde a un gruppo di persone credenti nel Dio di Israele ma   non fedeli a Gesù Cristo, sarebbe stato incatenato per mille anni.
            Dopo   mille anni il "diavolo" sarebbe stato lasciato libero di agire per un po' di   tempo.
            In   seguito, mentre Gesù Cristo avrebbe continuato a regnare nel mondo in modo meno   evidente, un fuoco dal cielo avrebbe vinto "il diavolo" e l'avrebbe chiuso per   sempre nell'abisso e ci sarebbe stato un giudizio universale.
            La   prospettiva successiva era "la nuova città santa Gerusalemme", che sarebbe   durata "secoli di secoli".
            Non è   chiaro se dopo "secoli di secoli" ci sarebbe stata la seconda   risurrezione, per tutti, o se questa avrebbe dovuto essere dopo i mille   anni.
            I Vangeli   però dicono che Gesù Cristo tornerà alla conclusione dei secoli e allora   ci sarà il giudizio finale.
            Dal   nostro punto di vista, venti secoli dopo, possiamo constatare come si sono   avverate storicamente alcune profezie del Cristo Re:
            -   distruzione di Gerusalemme nel 73 (70);
            -   persecuzione dei Cristiani fino al 313 (non era prevista in modo distinto);
            - circa mille   anni (313-1303) di prestigio, anche politico, della Chiesa, corrispondente a un autentico   regno di Cristo, che ha edificato una civiltà mai vista prima;
            - nel   1303, il Papa viene umiliato dal re di Francia, Filippo il Bello (Oltraggio o   "Schiaffo" di Anagni); il 13 ottobre 1307 (1250° anniversario di Nerone   imperatore) arresto dei Templari per ordine dello stesso re di Francia, per   impossessarsi dei mezzi che essi impiegavano per le opere della Chiesa contro il   male; di conseguenza forte limitazione della presenza attiva e caritativa della   Chiesa nella società civile;
            - da   allora, anche oggi, assistiamo all'offensiva del "diavolo" contro i   Cristiani;
            - ora   dobbiamo attendere forse, simbolicamente, la "seconda risurrezione", ma   certamente la "seconda morte", in Cristo, di coloro che non avevano   creduto in lui e, infine, la "nuova città santa Gerusalemme".
             
             
            Raffaele Licordari,
            con la collaborazione di Giovanni Conforti
            Aggiornato il 15 giugno 2015